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Arte

Il lutto

È morto Pietro Mosca, eclettico dell’arte

Pietro Mosca se lo ricordano tutti coloro che d'arte hanno la ventura di occuparsi di arte. Autore di numerosi e ponderosi volumi sulla storia dell'arte e del costume a Bergamo dal Seicento al Novecento

Nel giorno in cui se ne sono andate personalità importanti come il regista Ermanno Olmi e nomi noti come la moglie e musa di Giacomo Manzù Inge Schabel, il mondo delle arti giustamente piange e commemora le proprie icone.

Lo stesso giorno è scomparso a Bergamo anche un uomo che all’arte si è dedicato con ostinata passione, avendo scelto la nostra città come terra d’adozione. Pietro Mosca se lo ricordano tutti coloro che d’arte hanno la ventura di occuparsi. Autore di numerosi e ponderosi volumi sulla storia dell’arte e del costume a Bergamo dal Seicento al Novecento (di cui due, editi da Grafica e Arte, portano la presentazione di Raffaele De Grada), di studi monografici su artisti come Scarpanti e Michelangelo da Caravaggio, collaboratore di quotidiani e periodici e critico d’arte, ma anche autore di romanzi e raccolte di racconti e di poesia dal sapore spesso surreale e onirico.

Medico cardiologo di professione, Pietro Mosca nasce a Letojanni, la famosa spiaggia di Taormina, nel 1942 e dal profondo sud approda a Bergamo nel 1969. Qui scopre in sé la vena creativa che lo porta presto a sperimentare, da autodidatta, i sentieri della pittura, della scultura e della musica. In città e in provincia intreccia subito relazioni e contatti con gli artisti e le istituzioni locali che lo portano a allestire numerose mostre personali prima sul nostro territorio poi su scala nazionale.

La sua arte è fondamentalmente drammaturgica, piena di energia, di suggestioni espressioniste e surrealiste, di contaminazioni metaforiche e grottesche: al centro vi è sempre l’uomo e i suoi sentimenti, ripresi dai miti e dalle storie del mondo, restituiti all’osservatore in prospettive inconsuete ed estranee a ogni ottica tradizionale. Pittura e teatro in lui si completano a vicenda ed esprimono una vitalità irrefrenabile, che assume forme di perenne metamorfosi e cromatismi gioiosi e contrastanti, fiabeschi e stidenti.

Teatrante per vocazione, porta sul palco nel 2011 al Teatro San Sisto di Colognola uno spettacolo coraggioso di straordinaria autoironia, “L’Oltre”, uno show pieno di contaminazioni tra musica, recitazione, pittura, scultura, con il coinvolgimento di attori e ballerini, con musica e regia scritte da lui stesso per l’occasione. Quasi la summa di una vita nelle forme aggiornate della commedia dell’arte.

Per lui creare significa ogni volta sperimentare. Le sue tecniche miste sono ‘miste’ nel senso più ampio del termine: tempera, collage, china, gessetti, penne, pastelli, oli, su materiali poveri come canovacci e stoffe, compensato, cartone, legno, polistirolo. Quasi non c’è differenza, nella sostanza, tra bidimensione e tridimensione. Le sue creazioni fanno pensare alle botteghe dei pupari che affrontano con ogni mezzo tutti gli aspetti della messa in scena, a partire dall’esecuzione dei fondali al costume agli effetti di luce alla rappresentazione finale. Tra i suoi cicli più emblematici una Via Crucis allestita a Palazzo Belli a Grassobbio nel gennaio del 2000, con silhouette dipinte mutilate e distorte, espressione di una pittura lacerante ove “pietas, amor et dolor – ci aveva illustrato – si fondono inscindibili nel vissuto umano sconvolto dalle oppressioni e dal dramma”.

Infaticabile animatore culturale, attento alla cultura alta e a quella popolare, membro di varie associazioni e circoli d’ambito storico e artistico, tra cui “Alle Radici della Comunità” e “Il Polline”, ha contribuito alla realizzazione di molti eventi nel comune in cui risiedeva, Grassobbio, specialmente a serate in chiave musicale quali manifestazioni canore e recital a Palazzo Belli.

A qualsiasi iniziativa partecipasse in veste di autore o coordinatore Pietro Mosca portava una ventata di espressività unica nel suo genere. La sua estrosa esuberanza, spesso incompresa dai bergamaschi, a volte mal digerita presso i campioni dell’asettica scena contemporanea dell’arte, aveva un che di ingenuo e di autentico, che ci restituisce oggi la memoria di un uomo affabile, sinceramente votato ai valori della cultura, dell’arte e dell’amicizia. Una personalità che non si può in alcun modo chiudere nei limiti di una restrittiva definizione.

Di sè diceva “Amo la cultura a trecentosessanta gradi e mi piace cimentarmi in campi sempre nuovi”. La sua vitalità inesausta nelle cose dell’arte e dell’esistenza resta indelebile nel ricordo di quanti a Bergamo hanno frequentato la scena delle arti visive nell’ultimo mezzo secolo.

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