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I dati

La legge Merlin compie 60 anni: chi sono in Bergamasca prostitute e clienti

Il report della Fondazione Gedama Onlus che assiste le 600 ragazze sfruttate ogni anno. I clienti sono soprattutto italiani: anche padri di famiglia e neo sposi

Il 20 febbraio del 1958 entrò in vigore una delle leggi più discusse della nostra storia, la numero 75, meglio nota come legge Merlin dal nome della promotrice nonché prima firmataria, la senatrice Lina Merlin. Un provvedimento che abolì la regolamentazione della prostituzione, chiudendo le case di tolleranza e introducendo i reati di sfruttamento, induzione e favoreggiamento della prostituzione. Una data che, di fatto, segnò l’inizio del proliferare della prostituzione per strada.

Ancora oggi a Bergamo e provincia sono tante le ragazze che vengono sfruttate, come dimostra il report annuale della Fondazione Gedama Onlus di Serina, specializzata nel soccorso di vittime della tratta degli esseri umani.

Nel database dell’associazione sono elencate quasi 600 donne costrette a prostituirsi. Un centinaio di queste operano di giorno, le rimanenti alla sera. Alcune ragazze lavorano in giornata in un paese e nelle ore serali in un altro. La fascia d’età principale è quella fra i 19 e i 23 anni, mentre il 20% sono minorenni.

C’è chi è seduta su un secchio, chi appoggiata a una pompa della benzina o in piedi a una rotonda, ma anche in auto o in casa. Tutte sono accomunate da un passato difficile e un presente ancora più traumatico.

Le nazionalità sono diverse. Le albanesi stanno ritornando da quando l’Albania è entrata nell’area Schengen e chi vuole venire in Italia non ha più bisogno del visto.

Ci sono poi le rumene, che possono tranquillamente venire in Italia almeno per tre mesi visto che la Romania è entrata nell’Unione Europea. Spesso sono minorenni. Alcune sono in strada con la loro auto. Abitano a Bergamo, Dalmine, Lallio, Osio, Antegnate, Romano di Lombardia e Boltiere. Alcune sono pendolari del sesso: arrivano il venerdì in aereo dalla Romania (un’ora e mezza di volo) e tornano in patria il lunedì.

Sono in aumento le nigeriane, che secondo una strategia del racket dei loro connazionali chiedono il permesso di soggiorno per asilo politico così possono almeno per un po’ di tempo operare indisturbate. Molte scappano dai centri di accoglienza e finiscono in strada.

Non mancano ragazze dalla Polonia, Russia, Moldova, Bulgaria, sudamericane. Poche, invece, le italiane.

Dove si prostituiscono? In appartamenti, motel, hotel, alberghi, centri massaggi, a casa dei clienti, ma soprattutto in strada. Quelle più frequentate della nostra provincia sono: la Provinciale tra Seriate e Chiuduno, la Provinciale tra Montello e Mornico, la Provinciale tra Palazzolo e Cavernago, la Provinciale Francesca tra Mornico e Pontirolo, la Provinciale tra Bergamo e Zingonia, la Provinciale tra Zingonia e Capriate, la Provinciale tra Madone, Filago, Marne, la Provinciale Briantea tra Curno e Ponte S. Pietro, la Provinciale tra Dalmine e Paladina e la Provinciale tra Caravaggio e Arzago. Non mancano poi alcune segnalazioni in locali della Val Seriana e Brembana.

I clienti sono principalmente italiani. Si tratta di anziani o persone sole, ma anche padri di famiglia, giovani da poco sposati o minorenni attirati dalle coetanee. Per evitare i controlli spesso concordano con le ragazze luoghi alternativi alla strada per incontrarsi. Sono disposti a pagare di più pur di usare protezioni.

I rapporti non protetti, oltre al rischio delle malattie, portano spesso a gravidanze. E qui si rivela un altro triste fenomeno: quello degli aborti. Le ragazze sono costrette ad abortire dai loro sfruttatori. In caso contrario vengono lasciate sulla strada fino al giorno prima di partorire e quando il bimbo nasce viene abbandonato, magari in ospedale.

Oltre a quella di strada, c’è la prostituzione “indoor”, ossia quella che si consuma all’interno di abitazioni con le ragazze che pubblicano annunci su internet o sui giornali. Anche in questo caso, sono comunque controllate da sfruttatori.

Il racket della prostituzione varia in base alla nazionalità. In testa c’è quello albanese, che se prima più importava le ragazze e le gestiva, ora pretende da chi è in strada il pagamento del posto (almeno 50 euro a notte). A seguire il racket rumeno, con i malviventi che sfruttano la complicità di pseudo fidanzate per controllare le donne in strada. Il racket nigeriano è invece capace di gestire molte ragazze e spesso fa leva sui riti Voodoo, sull’inganno e poi sulle ritorsioni, sulla fragilità delle minorenni o di donne comunque giovani, poco istruite e facilmente manipolabili. Le varie “mafie italiane” hanno invece patteggiato e lasciato entrare nel nostro Paese questi racket stranieri, per occuparsi invece di altri affari come la droga.

“Non abbiamo alcuna pretesa di completezza nella descrizione di quanto avviene – spiega don Giampaolo Carrara, presidente della Fondazione Gedama Onlus – semplicemente raccontiamo quello che vediamo e incontriamo in strada. Ormai dal 1998 siamo impegnati accanto alle nostre sorelle vittime dello sfruttamento e della schiavitù della prostituzione, di giorno e di notte, con tanti volontari”.

“Da qualche tempo ci sembra di rilevare una generale abitudine e una tacita accettazione di questo drammatico fenomeno – osserva il sacerdote – . Negli ultimi tempi la tratta degli esseri umani si è nascosta nei flussi di immigrati. Uno degli aspetti più tristi è che le ragazze arrivano da Paesi che anche noi abbiamo sfruttato prima ed ancora anche oggi nelle loro risorse naturali, ma adesso pure nella vita delle loro giovani donne”.

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