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L'intervista

Jovan Divjak, la mia Sarajevo popolata di giovani pieni di odio e intolleranza

A 25 anni dall'assedio Sarajevo, la città divenuta simbolo del conflitto più sanguinoso della storia bellica moderna, porta ancora addosso le sue cicatrici e le sue drammatiche, irrisolte contraddizioni. Nell'anniversario della guerra civile tra gli stati della ex Yugoslavia abbiamo intervistato Jovan Divjak, il generale iugoslavo che difese la città disobbedendo agli ordini della "sua" Belgrado.

A 25 anni dall’assedio Sarajevo, la città divenuta simbolo del conflitto più sanguinoso della storia bellica moderna, porta ancora addosso le sue cicatrici e le sue drammatiche, irrisolte contraddizioni. Nell’anniversario della guerra civile tra gli stati della ex Yugoslavia abbiamo intervistato Jovan Divjak, il generale iugoslavo che difese la città disobbedendo agli ordini della “sua” Belgrado.

Protagonista a Nembro lo scorso dicembre di un incontro pubblico molto partecipato organizzato dalla locale Biblioteca all’Auditorium Modernissimo, Divjak – che a Sarajevo ha dedicato un’appassionata monografia intrisa di storia e di umanità – ci ha parlato di quei giorni sanguinosi, del non facile presente della sua terra e degli orizzonti delle nuove generazioni.

Perché ha scritto “Sarajevo mon amour”?
“Il libro è un documento di ciò che è avvenuto negli anni Novanta del Ventesimo secolo. Parla del male e del bene. Della necessità di ricordare e di non dimenticare, di condividere la tragedia e di guardare avanti. Il messaggio è che dovremmo continuare a vivere per i bambini e i giovani attraverso la costruzione di una nuova società senza odio”.

Un ricordo dei giorni dell’assedio.
“La tragedia della famiglia Bojadzi è tra le storie più significative. Una granata uccise due figli di Halida, di 14 e 17 anni, e un cugino di 15 anni, l’8 giugno del ’92. La madre è stata coraggiosa poi a dare vita a 43 anni a un altro figlio, Muhammed: il ragazzo adesso è iscritto al quarto anno di Legge. Attraverso la storia di questa famiglia sto parlando della tragedia della Bosnia Erzegovina, ma anche del loro futuro”.

La memoria di quei giorni è divisa. Chi ha vinto la guerra?
“I perdenti, sotto il profilo storico e civile, sono coloro che hanno voluto creare una “grande Serbia” e una “grande Croazia”. Nell’ambito della Bosnia Erzegovina, hanno vinto coloro che hanno optato per la continuità e l’autonomia della nostra regione”.

Nelle scorse settimane il generale Mladic, comandante delle milizie serbe in BH durante quel conflitto, è stato condannato all’ergastolo da una Corte Internazionale. La giustizia aiuta a ricomporre una memoria condivisa?
“La verità è preceduta dalla giustizia. Dalla verità siamo molto lontani, perché ora la B.H. è divisa in tre porzioni “etniche”, una serbo bosniaca, una croato bosniaca ed una bosniaca a prevalenza islamica; i bambini e i giovani delle tre zone, attraverso tre distinti programmi educativi e tre diversi contenuti di storia nei libri scolastici, imparano l’odio, non la pace e la tolleranza. I bambini nella “Repubblica serba bosniaca” imparano che una guerra civile fu condotta in Bosnia Erzegovina, che loro difendevano la loro terra da Mujaidin (così venivano definiti dagli oppositori i combattenti bosniaci di fede islamica), Ustascia (così venivano definiti i combattenti bosniaci di fede cattolica), e che ci fu un’aggressione della Nato contro la Serbia e Belgrado; ma non sanno del genocidio a Srebrenica e che Karadzic e Mladic sono stati condannati per crimini di guerra. I bambini bosniaci imparano che ci fu un’aggressione in Bosnia Erzegovina, così come il genocidio a Srebrenica, ma non sanno che c’erano membri dell’esercito di Bosnia Erzegovina che commisero crimini di guerra. La parola giustizia si sente tutti i giorni in affermazioni di politici e nei media, ma nella pratica è solo una lettera sbiadita sulla carta”.

L’attentato di Sarajevo fu la scintilla della prima guerra mondiale. I Balcani sono parte della geografia europea. Perché l’Europa negli anni Novanta non fermò i massacri e tuttora si ostina a girare le spalle a questa regione?
“Sarajevo ha una storia che si spinge ben più indietro dell’attentato del 1914. Non è stato forse il generale austroungarico Eugenio di Savoia a bruciare Sarajevo? Forse è cinico da scrivere: lontano dagli occhi, lontano dal cuore. Sono stati più importanti altri cambiamenti avvenuti nell’Est dell’Europa e in MedioOriente che non i Balcani: la caduta del muro di Berlino, l’unificazione delle due Germanie, la dissoluzione dell’URSS, l’esodo dal patto di Varsavia, la guerra in Iraq, l’Iran, l’Afganistan… Proviamo con la domanda opposta: perché le sei repubbliche che facevano parte della Repubblica socialista federale di Jugoslavia non sono riuscite a trovare un accordo come è invece avvenuto con la dissoluzione dell’URSS, o come hanno fatto le repubbliche Ceca e Slovacca, che si sono separate l’una dall’altra? L’Europa ha offerto all’allora Yugoslavia 5 o 6 ipotesi e varianti per la separazione, ma il grande guru nazionale “si muoveva alla cieca” e sulla base di tensioni nazionalistiche ed etniche”.

Che cosa potrebbe fare l’Europa oggi per la Bosnia?
“Tutto può essere inteso sotto la nozione di “Europa”. Ci sono 28 stati nell’Unione Europea e non c’è una comune visione storica relativa all’aggressione in Bosnia Erzegovina, né circa il presente e il futuro di quelle terre. E i nostri compatrioti non sanno se vogliono stare dentro o fuori l’Unione Europa. In favore di quali soggetti dovrebbe intervenire l’Europa, se non c’è uno sguardo unitario sul futuro delle tre nazioni costituenti! A mio parere la salvezza starebbe nell’esser parte della Nato e dell’UE, ma i rappresentanti della repubblica Srpska (serbo bosniaca) bloccano questa prospettiva in parlamento seguendo le indicazioni provenienti da Belgrado e per essa, dalla Federazione Russa, che a livello internazionale è “tutore” della Serbia”.

Come è cambiata Sarajevo con la guerra?
“Ci sono più cimiteri che cinema, teatri, sale da concerto. Già a un primo sguardo Sarajevo ha cambiato il quadro demografico. È divenuta una città meno cosmopolita, a causa della diminuzione netta dei cittadini di nazionalità serba e croata ed altre, che in gran parte si sono trasferiti nelle aree di relativa maggioranza etnica, come la Repubblica Srpska e quella Croato Bosniaca. Quindi attualmente a Sarajevo esiste una maggioranza di bosniaci islamici e questo si riflette in alcune regolamentazioni della vita quotidiana che hanno un po’ scandalizzato gli osservatori europei, come il divieto di consumo di alcolici in ristoranti e caffè prestigiosi. Ciò non mi spaventa più di tanto. Ma gli stranieri si chiedono: dove questo porterà?”

Qual è il peso oggi, dopo gli anni della pulizia etnica, dei partiti nazionalisti in Bosnia e Serbia? I discorsi d’odio continuano?
“I partiti nazionalisti in realtà sono un male per la Bosnia Herzegovina. In fin dei conti non lavorano a favore della propria gente, perché manipolano ‘la loro gente’ in senso aggressivo verso le altre etnie. I due partiti nazionalisti hanno un forte supporto da parte dei loro ‘partiti madre’ al di là dei fiumi Drina e Sava, dalla Croazia e dalla Serbia. E le relazioni reciproche tra questi partiti sono giornalmente alterne, ora sembrano positive e buone, ora sono negative e ostili. Attraverso il sistema di istruzione i bambini sono indirizzati all’odio invece che ai processi di pace. Negli ultimi anni i discorsi d’odio son diventati sempre più evidenti. Addirittura il presidente della repubblica Srpska, Dodik, dice che i bambini nella repubblica Srpska non sapranno mai del genocidio di Srebrenica né del bombardamento e del cecchinaggio di Sarajevo. Questa persona non intende dichiararsi contro il crimine, per esempio, nella strada Dobrovoljacka, nello stadio Kosevo, nelle prigioni in Sarajevo e così via”.

Crede ancora in un paese in cui Serbi, Croati, Bosniaci possono vivere insieme?
“Quella è la via da seguire. Ma la gente ancora non sa vivere insieme senza badare a diversità nazionali e religiose”.

La vostra associazione “L’Educazione costruisce la Bosnia” si prende cura degli orfani e delle giovani vittime di guerra, specialmente nel campo dell’educazione. Qual è la situazione della Bosnia da questo punto di vista? Quali risultati avete raggiunto ad oggi?
“Quando parlo di educazione, spiego che per come è condotta in questi anni, differenziata nelle tre entità regionali, è l’oppio dei bambini e dei giovani. Ci sono 13 leggi sull’educazione in BH (Federazione di BH, 10 cantoni, Repubblica Srpska, Brcko District). Come ho detto prima ogni territorio segue il messaggio “non abbiamo fatto del male, sono stati gli altri”. C’è più odio e intolleranza tra i giovani nati dopo la guerra che tra i giovani che hanno sofferto la guerra”.

Il lavoro dell’associazione può essere riassunto come segue. In 23 anni l’associazione “L’educazione costruisce la Bosnia” è quotidianamente al servizio dei bambini vittime di guerra, bambini disabili e talentuosi, bambini della minoranza nazionale Roma vittime del razzismo (minoranza di origine rom a cui viene negata la cittadinanza) e bambini svantaggiati. L’associazione, a porte sempre aperte, ha portato avanti e compiuto gran parte della propria missione, abbiamo fornito supporto morale e materiale a bambini e giovani in B.H. L’associazione non riceve alcun supporto materiale del budget governativo, ma garantisce borse di studio attraverso l’associazionismo, concerti umanitari, mostre, stampa di calendari e libri.

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