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Grande Guerra, Pillola 141: l’offensiva dei cento giorni, ultimo atto fotogallery

Una nuova Europa era già nata: sparivano i grandi imperi a matrice religiosa e si stavano delineando i nazionalismi moderni.

In Belgio tutto era cominciato e, quasi per una sorta di contrappasso, la sconfitta definitiva della Germania nella prima guerra mondiale partì proprio dal Belgio e da quel piccolo esercito che, nel 1914, era stato pressochè annientato dal titano tedesco, fornendo alla stampa mondiale la perfetta metafora di Davide contro Golia.

Nell’ultima fase della gigantesca campagna nota come “offensiva dei cento giorni”, il settore più settentrionale del fronte era presidiato dalle ricostituite forze armate belghe: poco più di 170.000 soldati, ripartiti su 12 divisioni, che erano state inglobate, all’inizio del settembre 1918, nel GAF (Groupe Armées Flandres), insieme alla 2a armata britannica (Plumer) e alla 6a francese (Degoutte), sotto il comando del re Alberto I del Belgio. All’interno del piano strategico alleato, il GAF avrebbe dovuto muovere dai dintorni di Ypres, a sud e a nord del Saliente, e rappresentare il braccio settentrionale di una enorme tenaglia puntata verso Liegi: in pratica, un’avanzata vittoriosa delle truppe di re Alberto avrebbe significato la liberazione di una considerevole porzione di territorio belga occupato dall’avversario.

La battaglia cominciò con un massiccio fuoco di saturazione, nel settore belga, all’alba del 28 settembre 1918: apparentemente, si trattava dell’ennesimo batti e ribatti, negli stessi luoghi di altre quattro battaglie, tra le buche e il fango, tra i cadaveri imputriditi e i rottami, di Passchendaele e di Langemark. I soldati belgi avanzarono nella foresta di Houthulst, mentre i britannici, senza alcun tiro preparatorio, puntarono su Zonnebeke: le difese tedesche, rappresentate da cinque divisioni della 4a armata (von Armin), piuttosto male in arnese, non ressero l’urto delle 28 divisioni alleate, ed iniziarono a retrocedere, perdendo, in un giorno, circa 6 chilometri di terreno, su di un fronte di una ventina di chilometri.

Il 30 settembre, tutti i crinali intorno ad Ypres, che avevano dominato il Saliente durante il corso dell’intero conflitto, erano stati conquistati dall’armata anglo-franco-belga. Alla fine dell’attacco, il 2 ottobre, i belgi erano avanzati per un’altra quindicina di chilometri, respingendo gli avversari sulla linea Zarren-Hooglede: qui dovettero fermarsi per le cattive condizioni meteorologiche e per il crescente afflusso di rinforzi tra i difensori. Dopo una necessaria pausa logistica, il 14 ottobre 1918, le truppe franco-belghe ripresero ad avanzare, nonostante le pessime condizioni delle strade: il GAF doveva sfruttare l’inerzia favorevole ed incalzare le truppe germaniche, schiodate, alla fine, dalla linea Hindenburg, fino a cacciarle dal Belgio.

Il 17 ottobre, gli alleati entrarono a Ostenda, Lille e Douai e, il 19, riconquistarono Bruges e Zeebrugge: l’impianto difensivo tedesco stava crollando in tutto il fronte settentrionale e, il 20 ottobre del 1918, le divisioni del GAF raggiunsero, infine, la frontiera olandese.

In pratica, il nuovo fronte, dopo un’avanzata di una sessantina di chilometri, si stabilizzò, in attesa dell’ormai inevitabile armistizio, lungo la Schelda, congiungendosi con le forze britanniche del BEF, avanzate nel settore della Somme. L’obbiettivo di conseguire un significativo successo, prima dell’arrivo della stagione invernale, era dunque stato raggiunto: in realtà, il comando supremo interalleato aveva preventivato una prosecuzione della guerra fino alla primavera del 1919, ma l’armistizio di Mudros, che, il 30 ottobre 1918, segnò la sconfitta dell’impero ottomano, il crollo dell’impero austroungarico sul fronte italiano, i disordini sociali che cominciavano a minare il fronte interno in Germania ed il rischio, sempre più concreto, di un attacco italiano da sud, attraverso la Baviera, precipitarono gli eventi.

Il Kaiser, personalmente, avrebbe voluto continuare la guerra, ma le condizioni oggettive della Germania rendevano pressochè impossibile proseguire efficacemente le ostilità: il 26 ottobre, a riprova di un’ingestibilità della situazione, Ludendorff si era dimesso, mentre le dimissioni di Hindenburg erano state respinte. Nonostante questo, Guglielmo II pareva non rendersi conto della situazione e rifiutava l’idea di una sua abdicazione.

Il 4 novembre 1918, venne dato l’ordine alla Hochseeflotte di uscire in mare aperto, per una sortita suicida: una sorta di Gőtterdammerung delle bellissime navi, orgoglio della Germania guglielmina. I marinai di Kiel, però, si ammutinarono, rifiutandosi di affrontare una battaglia senza speranza e senza senso, e diedero inizio ad una sollevazione popolare che si estese a macchia d’olio: il Kaiser, a questo punto, avrebbe voluto marciare alla testa dell’esercito contro le sedizioni.

Il suo mondo era già sparito, ma Guglielmo sembrava non accettarne le conseguenze. Una nuova Europa era già nata: sparivano i grandi imperi a matrice religiosa e si stavano delineando i nazionalismi moderni. Quando il cannone, finalmente, tacque, cominciarono a parlare i politici: ed iniziarono subito a preparare il prossimo disastro.

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