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Il caso

Buona scuola, crediti, formazione… Insegnare, che fatica per noi futuri docenti!

Il pensiero di Asia Gentili, classe '94 e studentessa al primo anno della magistrale in Culture Moderne Comparate dell'Università degli Studi di Bergamo

La cosiddetta “Buona Scuola” di Renzi introduce un nuovo sistema di formazione e accesso al ruolo per i docenti della secondaria di I e II grado, con l’obiettivo di renderla funzionale alla “valorizzazione sociale e culturale della professione”.

Questo sistema prevede, dopo il conseguimento della laurea, la partecipazione a un concorso pubblico nazionale che consentirà di accedere ad un percorso triennale denominato FIT (Formazione Iniziale Tirocinio) e così articolato:

un primo anno finalizzato al conseguimento del diploma di specializzazione per l’insegnamento secondario (i corsi, a frequenza obbligatoria, saranno istituiti da università, istituzioni AFAM -Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica- o loro consorzi e i costi sono a carico dello Stato),

un secondo anno di tirocinio e primo inserimento nella funzione docente;

un terzo anno di inserimento completo nella stessa (che prevede cioè l’assegnazione di una cattedra annuale).

Al termine del percorso FIT, a condizione che siano state superate le valutazioni intermedie e finali, è prevista una procedura per l’accesso ai ruoli a tempo indeterminato.

BGY

IL CONCORSO

Per accedervi è necessario possedere, oltre alla laurea, 24 Crediti formativi universitari (Cfu) “acquisiti in forma curricolare, aggiuntiva o extra curricolare nelle discipline antropo-psico-pedagogiche e nelle metodologie e tecnologie didattiche”; inoltre si deve garantire “il possesso di almeno sei crediti in ciascuno di almeno tre dei seguenti quattro ambiti disciplinari: pedagogia, pedagogia speciale e didattica dell’inclusione; psicologia; antropologia; metodologie e tecnologie didattiche” (Art. 5, comma 1, lett. b).

La definizione dei settori-scientifico disciplinari entro cui acquisire tali crediti è demandata ad uno dei tanti decreti attuativi che dovranno seguire la riforma, la cui approvazione, stando alla normativa vigente, è prevista entro 180 giorni dall’entrata in vigore della legge. Tale decreto attuativo conterrà anche disposizioni per le università che dovranno attuare i nuovi insegnamenti.

Questo per riassumere in breve la sostanza di una riforma che chi – come la sottoscritta – è intenzionato a seguire la tortuosa strada dell’insegnamento dovrebbe già conoscere in modo alquanto approfondito

COME MUOVERCI

Insieme ad un gruppo di compagni, come me studenti dell’Università di Bergamo al primo anno di specializzazione, mi sono chiesta sin da subito come poterci muovere per recuperare questi benedetti Cfu prima di conseguire la laurea magistrale, in modo tale da evitare un dispendio di tempo e di denaro una volta terminato il ciclo di studi.

Stando alle ultime notizie, il Miur ha avviato le procedure che porteranno all’emanazione del Decreto; siamo tuttavia a luglio ed è già troppo tardi per sperare in una ristrutturazione del piano di studi che ne tenga conto in vista del prossimo anno accademico (che per noi sarà l’ultimo utile).

Ne prendiamo atto: siamo comunque più fortunati di chi si laureerà questo stesso anno o di chi si è già laureato, oppure ancora di chi, in base alle nuove regolamentazioni, ha dovuto/deve recuperare tramite biennalizzazioni, corsi singoli o complementi che dir si voglia i 2 crediti per ciascuna disciplina che gli mancano. Oppure ancora di chi ha fatto il vecchio Tirocinio Formativo Attivo (TFA) per ottenere l’abilitazione oppure ha passato il concorso ma ancora è alle prese con supplenze oppure ancora… E’ bene interrompersi altrimenti non se ne esce più.

In poche parole, tra tutti quanti, siamo ancora quelli “messi meglio”: se tutto va come previsto potremo beneficiare del nuovo sistema che ci porterà direttamente al ruolo senza più preoccupazioni di punteggi, graduatorie e similia. Sì, “se tutto va come previsto”: anzitutto nel 2018, tramite due concorsi appositi, dovrà essere assorbito chi, allo stato attuale, è in possesso di titolo abilitante e chi ha all’attivo almeno tre anni di servizio; inoltre si dovranno pian piano esaurire le graduatorie ed eliminare il precariato.

Tra tutto questo non è esclusa la remota possibilità che, cambiato il governo, cambino di nuovo le carte in tavola. Non pensiamoci troppo e torniamo al nostro problema dei Crediti.

I CREDITI FORMATIVI UNIVERSITARI

Non potendo sperare – come detto – in una qualsivoglia agevolazione da parte del Dipartimento che giustamente deve aspettare le direttive dal Ministero (e, se si muoverà con modifiche in questo senso, lo farà solo a partire dai prossimi anni, quando ormai noi saremo fuori) vedremo di rimediare questi 24 crediti autonomamente sfruttando il più possibile i margini di manovra offerti dal nostro piano di studio (e sperando che il decreto ministeriale faccia la sua comparsa entro novembre, quando saremo chiamati a compilarlo). Chi non lo avesse già fatto scegliendo altri corsi, potrà inserire nelle scelte libere uno o due esami utili per i CFU richiesti; chi invece non avesse questa possibilità – e volesse comunque acquisirli in corso – dovrà per forza inserirli come sovrannumerari.

Per noi iscritti all’Università di Bergamo inoltre si presenta un problema relativo alla base dei CFU per esami diversi nei vari Dipartimenti dell’Ateneo. Il Dipartimento di Scienze umane e sociali, da cui eventualmente mutuare gli insegnamenti di Pedagogia, Psicologia e Antropologia, ha esami in base 5: 5 CFU per un modulo, 10 per due moduli, sistema diverso da quello in base 6-12 di altri Dipartimenti (come il nostro, quello di Lettere, Filosofia e Comunicazione).

Per la cronaca: la proposta di uniformare le basi – logica ma, a quanto pare, contraria a certi interessi interni – è stata avanzata già da tempo ma sempre finita nel nulla: peccato, dato che crea svariati disagi di questo genere agli studenti.

LETTERE E FILOSOFIA

Tornando a noi iscritti a Lettere e Filosofia, per avere – come richiesto dalla legge – almeno 6 CFU in almeno tre delle sopracitate discipline, dovremmo dunque dare esami da 10 CFU, il che significa in pratica fare un esame doppio per ciascun ambito. Evviva! Tanto non ne abbiamo abbastanza dei nostri… Poco ci manca che ci chiedano una seconda laurea.

Personalmente sono disposta a questo e altro a patto che – come dicono – al termine degli sforzi, si sarà ricompensati con un sistema funzionante, lontano dall’attuale confusione e in cui la professione docente avrà la valorizzazione che merita. Credo che, istituendo un percorso tanto lungo quanto complesso e selettivo (vedi a tal proposito l’articolazione del concorso in 3 prove, due scritte e una orale, cui se ne aggiunge una quarta destinata a coloro i quali concorrono per il sostegno), accederà all’insegnamento solo chi è veramente motivato e ha fatto una scelta consapevole, non più chi pensa al mondo della scuola come un ripiego di comodità. Già, perché sino ad ora è stato più o meno così e le conseguenze le abbiamo sotto gli occhi: una scuola in cui parecchi docenti hanno poca voglia di fare (e non li si può muovere di un millimetro dal loro posto) provocando così un abbassamento generale della qualità e una svalutazione della loro professione. A rimetterci in prima battuta sono ovviamente i diretti interessati, i ragazzi, i primi a pagare le conseguenze di un sistema che funziona male.

Per concludere, a mio avviso la riforma è il frutto di una buona riflessione e contiene elementi positivi; sopportiamo dunque le difficoltà poste da questa fase di transizione e siamo ottimisti, con la speranza che tutto si aggiusti per il meglio.

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