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L'intervista

Oltre noi e i ragazzi disabili: “Le barriere mentali sono peggio di quelle architettoniche” fotogallery

Nel 2002, esattamente quindici anni fa, un gruppo di genitori con figli disabili ha costituito l’associazione “Oltre noi” onlus. Abbiamo intervistato il presidente dell’associazione, Sergio Palazzo per saperne di più.

Vivere in autonomia, avere una vita ricca di relazioni e uscire con gli amici: semplici attività che svolgiamo quotidianamente e senza pensarci troppo non sono così automatiche e scontate per tutti.
Per questo nel 2002, esattamente quindici anni fa, un gruppo di genitori con figli disabili ha costituito l’associazione “Oltre noi” onlus, che promuove progetti volti a favorire l’integrazione e collabora alla realizzazione di percorsi che diano la possibilità a questi ragazzi di sviluppare il maggior grado di indipendenza possibile. Infatti, come indica il nome del sodalizio, l’impegno dei volontari si concentra nel presente ma guarda anche al futuro, cioè a quando genitori e famigliari non potranno prendersi più cura di loro.
Per saperne di più abbiamo intervistato il presidente dell’associazione, Sergio Palazzo.

Quando è stata costituita l’associazione?
È nata a Bergamo il 28 ottobre 2002 dal desiderio di un gruppo di genitori di occuparsi del presente ma anche del futuro dei propri figli, come indica il nome stesso “Oltre noi”. Inizialmente, l’associazione contava 15 soci, poi nel tempo è cresciuta molto e ora ne ha una settantina, sparsi in città e provincia.
Insieme ad altre realtà sociali, siamo parte del coordinamento bergamasco per l’integrazione per promuovere progetti d’inclusione su tutto il territorio.

E quali obiettivi si prefigge l’associazione?
Il concetto attorno al quale ruota il nostro impegno è quello di dare sostegno alle persone disabili ora, nella dimensione del “durante”, pensando anche a quando non ci saranno più i genitori e i famigliari che possono prendersi cura di loro oppure quando non saranno più in grado di assisterli ad esempio per questioni di età o fisiche. Abbiamo pensato a progettare l’”oltre noi” in modo da non arrivare al “dopo di noi” quando sarà troppo tardi e bisognerà solo rincorrere situazioni di emergenza. Stiamo cercando di far passare un messaggio culturale, anche con fatica, che faccia dell’inclusione l’obiettivo finale per i nostri ragazzi.

Che tipo di difficoltà avete incontrato?
Di vario tipo. Il territorio bergamasco, che ha 249 Comuni e 14 ambiti, è una realtà molto frammentata, quindi non è facile avere una visione d’insieme condivisa. Inoltre, vorremmo sempre avere velocemente le risposte alle nostre richieste e ottenere i risultati molto presto, ma i tempi delle istituzioni sono più lenti rispetto a quelli delle famiglie.
Altro aspetto è l’ormai noto problema della carenza di risorse da parte delle istituzioni: ad esempio, sul territorio ci sono strutture per l’accoglienza dei nostri ragazzi, ma i prezzi non sempre sono abbordabili.
D’altro canto, è molto importante che le famiglie siano propositive, sono finiti i tempi delle rivendicazioni: oggi sono necessari dialogo e confronto.
È fondamentale, poi, il ruolo della cooperazione sociale.

Ci spieghi…
Una volta individuate le strutture che possono accogliere i ragazzi, ci vuole qualcuno che ne governi la gestione. Noi genitori, infatti, cerchiamo spazi che possano dare ai nostri figli la possibilità di stare bene anche al di fuori del proprio contesto familiare.
Unendo le tre forze, ossia istituzioni, cooperazione sociale e famiglie di persone con disabilità, si possono raggiungere gli obiettivi.

E in questi anni sono stati fatti progressi?
Si, in questi anni sono stati fatti alcuni significativi passi in avanti verso i due obiettivi fondamentali per i nostri ragazzi. Il primo è il raggiungimento della miglior autonomia possibile, mentre il secondo è avere una vita ricca di relazioni col mondo esterno. Sono bisogni che avvertiamo tutti, ma che diventano particolarmente importanti per le persone con fragilità.
Muoversi in questa direzione significa dare forma a un progetto di vita personalizzato che consideri le esigenze di ogni individuo. Infatti, con diversi gradi di gravità e di assistenza, anche i nostri figli sono in grado di esprimere i propri bisogni, desideri e aspettative.

Quali iniziative promuovete?
Dal 2003 facciamo una trentina di esperienze all’anno di fine-settimana in strutture adeguate, senza barriere architettoniche, per accogliere i nostri ragazzi con accompagnatori e volontari per vivere la quotidianità fuori dal contesto familiare, sempre nell’ottica di promuovere autonomia e relazione.
Tutti gli anni, poi, proponiamo una gita sociale con le famiglie: ogni volta è un’esperienza bellissima, c’è un ottimo spirito di gruppo e si sta bene insieme.
Inoltre, li portiamo a mangiare la pizza, nell’ambito del progetto “Pizza e musica” cominciato dieci anni fa quando mi sono recato all’Openspace di Curno e ho proposto al titolare, Guido Santinelli, di ospitare la cena della nostra associazione. Ci ha accolto a braccia aperte e da quel momento una volta al mese si ripetono queste serate conviviali: siamo sempre in 30- 40 e più persone. I ragazzi mangiano cose buone e poi si scatenano, cantano al karaoke e ballano come fanno tutti gli altri giovani.

Un’atmosfera tanto semplice quanto speciale…
L’accoglienza dell’Openspace è fantastica e spontanea. Guido Santinelli e tutto il suo staff ci accolgono come tutti gli altri clienti. E anche il resto della clientela concorre a creare un’armonia molto bella.
È una conferma del fatto che la disabilità deve essere una risorsa per la comunità: vale per un locale, per un oratorio o per il quartiere. E sarebbe una grande conquista far sì che in ogni realtà ci fosse questo clima.

Purtroppo, non è una cosa scontata…
Perchè ci sono ancora tante barriere mentali che sono peggiori di quelle architettoniche. Dal punto di vista culturale, però, ci sono alcuni segnali positivi. Ad esempio, da un paio di anni il Comune di Bergamo, con cui abbiamo sempre collaborato positivamente, ha attivato il progetto “Bergamo città leggera”, mettendo a disposizione nove appartamenti per avviare percorsi di avvicinamento al distacco familiare, una scuola di autonomia per gruppetti di ragazzi.

E in provincia?
qualcosa si sta muovendo, grazie alla presenza di istituzioni più attente e sensibili e alla cooperazione sociale che mette a disposizione strutture, strumenti e operatori.
Altrettanto significativa è la maggior volontà delle famiglie a mettersi in gioco, a superare ansie e preoccupazioni anche se queste ultime sono ancora diffuse. Possono essere condivisibili, ma bisogna imparare a fidarsi degli altri e queste esperienze sono di grande aiuto.
In quest’ottica, sono sempre stato convinto che solo attraverso la moltiplicazione delle dipendenze affettive si possa raggiungere il miglior grado di autonomia possibile: tenendo i figli sotto una campana di vetro, le possibilità di accrescere il loro livello di autonomia sono limitate.

Per concludere, quali sono i vostri progetti per il futuro?
Innanzitutto, proseguire nella realizzazione dei progetti intrapresi. Inoltre, siamo impegnati per estenderli ulteriormente, promuovendo percorsi per favorire l’indipendenza dei ragazzi disabili in nuovi Comuni della bergamasca.
Ma non è tutto: il coordinamento per l’integrazione ha in cantiere una nuova iniziativa che, con il contributo delle famiglie secondo i principi di solidarietà e sussidiarietà, è finalizzata a promuovere forme di autonomia dei ragazzi facendoli rimanere nel proprio paese, in modo di mantenere un forte legame con il proprio contesto. Il nostro sogno è che tutti i paesi possano aderire al progetto sostenuto da Ats e dalla conferenza dei sindaci. Un aspetto a cui teniamo molto oltre all’inserimento lavorativo, scolastico e dei servizi per poter dare ai ragazzi un presente e un futuro in cui possano vivere serenamente.

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