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Il sacro nell’epoca individualista: spiritualità senza comunione né sagra

Che cosa è sacro? Che cosa è contemporaneo ? Infine, che cosa è arte? Se questi interrogativi non sono nuovi, ArtDate 2017 ha avuto l'intuizione di mettere a fuoco, entro i termini di tale confronto, un binomio specifico e ancora vitale: l'accostamento sacro/sagra.

Che cosa è sacro? Che cosa è contemporaneo ? Infine, che cosa è arte? Se questi interrogativi non sono nuovi, ArtDate 2017 ha avuto l’intuizione di mettere a fuoco, entro i termini di tale confronto, un binomio specifico e ancora vitale: l’accostamento sacro/sagra.

Nell’epoca del ripiegamento individualista e della squalificazione delle ritualità collettive di antica tradizione, che cosa resta di certe esperienze fondative dell’identità e dell’appartenenza culturale?
Ben poco, sembra di poter dire, alla luce di alcune riletture del tema in chiave artistica. D’altra parte l’arte, anche quando intenda porsi controcorrente, non è che lo specchio del vivere civile.

Così Sabina Sala e Valerio Ambiveri, con la loro preziosa alchimia di carte, stampe fotografiche, video proiezioni, dal titolo “ORObasie ORObiche” – allo studio Vanna Casati (via Borgo Palazzo 42) fino al 10 giugno – suggeriscono raffinati percorsi iniziatici e spirituali di sicura suggestione, calati fuori dal nostro tempo. Complici le formule del Cennino Cennini, il quattrocentesco trattato di “trucchi del mestiere” del buon pittore, gli artisti esplorano con raffinatezza e semplicità i cerimoniali dell’attesa e della festa, giocando fino al parossismo con le diverse radici etimologiche della parola “oro”. Intimamente vicini a una mitica idea di “sacro” e inesorabilmente lontani, per esplicita intenzione, dall’odierna esperienza di “sagra”.

ambiveri sala

Così anche Ludovico Bomben, con la sua proposta “Celeste” – alla Galleria Marelia (via Torretta 4) fino al 10 giugno – suggerisce che il sacro si riduce oggi ad icona di se stesso e si astrae nell’esperienza condivisa. Un’allarmante acquasantiera in corian e ottone, trafitta dalla punta di una lancia, trasforma il semplice gesto del rito in una rischiosa “prova” al cospetto divino, un’”Icona da viaggio” ridotta a nudo profilo in fibre di legno riflette sull’universale svuotando il particolare, una cattedrale tracciata a parete con un infinito rosario riscrive “à rebours” i percorsi della coscienza.

art date 2017

La “comunione tra uomini e sacro” sta qui in una sfida di sottrazione concettuale che va decisamente “oltre il sensibile”.

D’altra parte, la spiritualità ai tempi del riciclo può stare anche nel relitto, nel rifiuto, nello scarto. È quanto ci ricorda Davide Conventi col suo progetto fotografico “Landmark”, sostenuto dal racconto poetico di Giulio Ferrari – allo spazio arte “Viamoronisedici” fino al 17 giugno. Può stare, per esempio, nei divani abbandonati nelle periferie urbane o lungo tratturi agresti, “come totem dimenticati” ai margini dei nostri quotidiani assilli e scadenze. L’elegia urbana che accompagna gli scatti, in formato 40 x 40, sottolinea con lingua e grafia volutamente “minuscole” e di toccante autenticità il polisenso dell’idea di viaggio, di tempo, di rito, nell’era della retorica sempre più facile e della metafora sempre più difficile. Un modo disarmante, quasi blues, di esorcizzare la memoria e l’abbandono.

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Indaga invece il lato più oscuro dei rapporti di potere l’operazione artistica degli “Eva Hide”, duo artistico italiano che alle ipocrisie di certo “sacro” predilige il recinto del profano – alla Traffic Gallery (via San Tomaso 92) fino al 24 giugno. La mostra è un’esperienza “hard” per chi non ha consuetudine con le scelte coraggiose della Traffic gallery: il corpo umano, smembrato in parti e particolari specificamente sessuali, è esibito nella sue nudità più intime per svelare senza infingimenti gli aspetti più fallimentari e morbosi del rapporto padre-figlio. Ma lontano da ogni aspettativa il racconto è affidato alla maiolica, arte nella quale gli Eva Hide hanno un’eccellenza riconosciuta. In una sconcertante alternanza di candore ed empietà, di preziosismi formali e profanazioni simboliche, “Dad is God” è forse tra quelle citate la mostra che allude in modo più diretto all’idea, qui stravolta, di “sagra”: una fontana di membra umane che campeggia all’ingresso, nella foggia, intesa e dichiarata, di paradossale anti-monumento.

Stefania Burnelli

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