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Arte

Palazzo creberg

In mostra la collezione Iannaccone: “Calda, umana e priva di etichette”

Così Giuseppe Iannaccone definisce la propria raccolta di pittura incentrata sugli anni tra le due guerre in Italia. Dei 97 pezzi della collezione, 70 sono in mostra al Palazzo del Credito Bergamasco fino al prossimo 1 giugno

“La mia è una collezione calda, fatta di umanità e priva di etichette”, così Giuseppe Iannaccone definisce la propria straordinaria raccolta di pittura, incentrata sugli anni tra le due guerre in Italia. Dei 97 pezzi della collezione, 70 opere sono in mostra al Palazzo del Credito Bergamasco in Bergamo (Largo Porta Nuova, 2) fino al prossimo 1 giugno. L’evento, dal titolo “Italia 1920-1945. Da De Pisis a Guttuso. Da Sassu a Vedova” è di tutto interesse, perché propone oltre a pezzi illustri anche opere insolite eppure stupefacenti di autori variamente consacrati dalla storia dell’arte.

“Sono molto emozionato che la mia collezione sia visitata in un contesto così prestigioso – ha sottolineato all’inaugurazione l’avvocato Iannaccone, di origine campane e milanese d’adozione – ho sempre desiderato che i miei quadri fossero visti: collezionare per me significa mostrare alla gente”.

Una collaborazione, quella con il Creberg, che si era avviata tre anni fa in occasione del prestito di alcune opere per la mostra “Italiani a Parigi” e che Angelo Pezzoli, segretario generale della fondazione Creberg, ha rilanciato con questo progetto. Dopo la vetrina milanese della “Triennale”, dove la collezione è stata esposta negli scorsi mesi, la rassegna bergamasca rappresenta – ha evidenziato Piazzoli – la 50esima mostra allestita a Palazzo Creberg, “il suggello di un decennio di manifestazioni di carattere popolare, con una media di 14mila visitatori a evento”.

Su due piani espositivi, l’allestimento si apre nel salone principale del palazzo e si snoda nel loggiato, secondo una logica di nuclei tematici curata da Rischa Paterlini e Paola Silvia Ubiali in accordo con il collezionista. Innamorato della propria raccolta per la dignità artistica dei pezzi come per i valori di umana sensibilità che questi riflettono (“amo gli artisti che esprimono con verità e spontaneità poetica la realtà”), Giuseppe Iannaccone è la migliore guida all’esposizione.

Si comincia con “un’idea di verità, non così banale all’epoca in cui dominava l’arte di regime”: ci accoglie all’ingresso Fausto Pirandello con una “Composizione” del ’24-26 e “La lettera” del 1929 che esprimono il “distacco dal Novecento italiano ufficiale nel segno della carnalità e del conflitto generazionale” e, a seguire, esplode il colore di Renato Birolli al centro della sala in una serie di dipinti “filtrati dalle lenti della poesia”, tra cui un Parco Lambro trasfigurato dall’enigmatica presenza di quattro poeti.

Giuseppe Iannaccone

Al primo piano, dopo un De Pisis e un Rosai “di una poesia spontanea e rivoluzionaria”, scorrono alle pareti una “Famiglia” di lirico arcaismo di Tullio Garbari (“l’ultimo artista entrato in collezione, a volte bisogna aspettare: ho bisogno di avere solo capolavori”), un “Arlecchino” di Birolli “dagli occhi buoni e dalle forme appiattite in risposta alla poetica di Sironi”, i ‘Sei di Torino’ emersi nel ’29 (“i primi a sviluppare una pittura nuova”) di cui manca solo Paulucci ma spicca Francesco Menzio per la fascinosa qualità pittorica di un “Ritratto di giovane”. Poi ancora, i chiaristi lombardi, Del Bon che partecipò al Premio Bergamo “il rifugio degli artisti liberi” (il Premio “dove Guttuso portò la sua Crocifissione che suscitò la riprovazione del Papa”) e Lilloni con un olio “meraviglioso, come fosse un pastello”.

A seguire, la Scuola Romana, cosiddetta “di via Cavour”, con Mafai e “il suo più bel Lungotevere ammirato a suo tempo da Roberto Longhi”, la Raphael “che ritraeva Roma svegliandosi all’alba e incontrava Scipione che per dipingere invece non dormiva mai, perché sapeva che doveva morire” – Scipione che rispetto agli altri “aveva una marcia in più”, come dimostra la tormentata tavola “Profeta in vista di Gerusalemme”.

La mostra prosegue alternando accenti d’intensa espressività. Di Guttuso spicca il “Ritratto di Mimise” del ’38, di Rosai il piccolo olio su tela “L’attesa” – al tavolo l’uomo col rossetto -, di Migneco “Gli amanti al parco” un livido groviglio di straordinaria tensione esistenziale, di Emilio Vedova il “Caffeuccio veneziano” del ’42 che “con la sua atmosfera irrespirabile segna un punto di non ritorno” e chiude il percorso espositivo.

“Diversamente dagli storici dell’arte”, precisa Giuseppe Iannaccone, “il collezionista non ha vincoli di obiettività. Personalmente io sono innamorato di questo ventennio tra le due guerre, il periodo della storia d’Italia in cui l’essere umano ha sofferto di più, avendo aspettative verso un mondo migliore. Sono 20 anni di grandissima emotività, un’occasione straordinaria per un’indagine sui sentimenti umani. Perché quando le vicende di vita mettono a dura prova, l’uomo dà il meglio di sé. E i miei artisti lo dimostrano”. Alla luce di una rassegna così ricca, organica e vitale, difficile dargli torto.

Correda la mostra il pregevole catalogo, in distribuzione gratuita, edito da Grafica e Arte che riproduce tutte le opere esposte, con testo critico e intervista al collezionista di Rischa Paterlini e di Paola Silvia Ubiali.

La rassegna si può visitare nei feriali e nei fine settimana (da lunedì a venerdì 8.20-13.20 e 14.50-15.50; sabato 13 e 17 maggio 9.30-19.30 con visite guidate gratuite ogni ora; domenica 14 e 28 maggio 9.30-19.30 con visite guidate gratuite 9.30, 10.30. 11.30 e ogni ora a partire dalle 14.30).

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