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Il concorso

Scribo Ergo Sum: Redenzione-Salmo 90.15

Scribo Ergo Sum è il concorso di scrittura creativa aperto agli studenti iscritti agli istituti secondari superiori della Provincia di Bergamo che hanno aderito al progetto: ciascun autore ha deciso il titolo e il genere letterario del proprio racconto che per l’edizione 2017 doveva essere svolto seguendo la traccia “Liberi tutti – Liberi di scrivere, amare, sognare, viaggiare; di muoversi, di esprimersi, di scegliere. Liberi di partecipare, di combattere per un’idea, di opporre resistenza, di rompere dei confini e spezzare delle catene. Ma anche liberi di ascoltare, tacere, imparare, riflettere, osservare il mondo e cercare di capirlo. Liberi di raccontare cos’è la libertà”.

REDENZIONE-SALMO 90.15 (Racconto 5)

Scrivilo. Una parola, mille significati. Ho smesso di essere me stesso quando non riuscivo più a scrivere. La grafite non me l’hanno mai portata via. Ho fatto di essa la mia alleata. E il brutto vizio di dire quello che penso, non sono ancora riusciti a togliermelo.

Libertà. Una parola, mille significati. La mia l’ho trovata grazie a un foglio, una matita e un po’ d’ispirazione. L’ispirazione del resto si trae da ogni cosa. Ogni giorno vissuto, ogni profumo, ogni strofa di canzone. Tutto questo diventa parte di me, e inevitabilmente condiziona quello che scrivo.

Io che mi affido a pochi gruppi sparsi di parole per cercare di esprimere ciò che provo, perché di per sé risulta essere del tutto indescrivibile, capace solo di portare emozioni contrastanti nel profondo del mio ego solitario. Va sempre a finire così.

Mi riprometto di lasciare la mia vita fuori da quello che vorrei dire. Non ci riesco. Senza troppi giri di parole posso pensare che questa sia la mia firma, il mio tratto distintivo in quello che faccio. Rivedo me stesso in ogni parola. Ombre di un futuro non troppo diverso dal mio.

Semplicemente scrivere, perché di questo ne ho bisogno come l’aria che respiro. Potrei quasi mettermi in testa un giorno che sia questa la mia strada e metterci un po’ di talento in più nello scrivere di me. E’ strano anche solo pensarci. Metto l’anima in un foglio. E il resto sono lividi scuri lasciati dall’inchiostro.Scrivo perché ho una storia e voglio che qualcuno stia a ascoltarla. Scrivo perché è l’unica cosa che mi tiene lontano dai guai. Scrivo perché a volte farlo ci rende liberi.

Curvo sulle mie supposizioni, rinchiusa in una gabbia di carta la belva del mio animo, ripenso ai chilometri percorsi. Alle ore trascorse a guardare il cielo. Indipendentemente che fosse giorno o notte fonda. Vorrei poterlo urlare, nel buio della notte nessuno sentirebbe mai le parole affidate al vento.

Questa non è più la voce di un uomo, nella mia immaginazione si trasforma nel grido di dolore di una fiera. Di giorno dorme, ringhiando nel profondo del mio spirito, come a voler ricordare di essere viva. La notte esce fuori dalla sua prigione di buoni propositi. Libera. Primordiale e senza controllo.

Non è sempre stato così. Cosa è cambiato rispetto a prima? Non posso che giungere a un’unica conclusione. Niente. Sì, avete capito bene.

Ogni mattina mi sveglio nella mia stanza troppo stretta, e a fatica mi tiro fuori dal mio letto al suono della sveglia. Il mio riflesso nello specchio del bagno. Qualche centimetro di altezza in più, il volto leggermente incavato e i capelli corti.Mi rendo conto di essere sempre lo stesso, nonostante tutto.

Mi sono spinto oltre ogni barriera della etica dell’essere. Oltre tutto quello che ho sempre percepito come ostacolo. Fine della corsa. Oltre solo l’oblio. Ho percorso ogni strada in salita che trovavo lungo il cammino, sentieri poco battuti. In cui con ogni probabilità ero il primo a spingermi. Penso che le mie folli avventure derivino proprio da questo. Dall’eccesso. Che mi piaccia o no, la mia realtà verrà ricordata grazie alla mancanza di ogni forma di limite.

Tutto quello che prima mi sembrava impossibile, di colpo finiva con diventare tangibile, appena sotto il mio sguardo. Questa verità ha cambiato la mia vita. Non devo avere paura di niente. Arrivato a questa conclusione, tutto acquista un senso. Dubbi, incertezze, strade senza fine. Non devo avere paura.

E io non ne avevo. Ho sofferto il caldo, il freddo e la fatica fino a non sentire più il dolore. Solo allora ho capito. Ho capito che la felicità è reale solo quando viene condivisa. E chiunque voglia farne parte, non ha che tendere la mano, diventandone una parte stessa.

L’unico modo per trovarla è viaggiare. Lontano dal quotidiano, camminare in direzione altrove, verso destinazione ignota. Non ho mai avuto paura del buio. Al giorno ho sempre preferito la notte. Madre consolatrice di un suo figlio ferito. Amante calorosa di chi ha un cuore di ghiaccio come il mio.

Ho trovato un modo per riprendere pieno possesso del mio tempo. Della mia libertà. Della mia vita. E’ passato ormai troppo tempo per ricordare la prima notte in cui sono uscito di casa. Non so cosa mi abbia spinto a adottare questa forma di ribellione contro il sonno e, sotto alcuni aspetti, contro la vita stessa.

Nel silenzio più totale metto le scarpe da ginnastica e alzo il cappuccio della felpa fino a coprirmi completamente il volto. Faccio piano nel girare la chiave nella serratura. Finalmente libero. Abitare in un piccolo paese offre il vantaggio di poter stare finalmente in solitudine tra queste quattro case amiche, lontano dalle persone e dal caos della città. Mi piace stare qui, davvero. E’ il solo posto che sento mio. Il solo posto in cui mi sento veramente a casa.

Le luci dei lampioni si spengono improvvisamente. Il paese piomba nel buio totale. A questo punto non sono più un uomo, sono un’ombra, un fantasma senza volto. Questo è il solo momento in cui riesco a pensare con lucidità e a essere me stesso.

Sulla cima della collina, alle prime ore del mattino, non mi sono mai sentito così vivo. La città si risveglia lentamente con un’insolita vitalità. Notevole per essere un giorno di primavera. Ogni gradino, portico, opanchina, fiumi di ricordi, legati a tante persone che oggi non ci sono più. Le strade deserte mi parlano, chiamano forte il mio nome. Ne sento l’eco e il battito sommesso. Scivolo silenzioso nel labirinto di vicoli e stradine secondarie.

Non un suono, non una voce.

Casa inizia a starmi stretta. Le quattro mura della mia stanza troppo opprimenti. La vita prende a pugni, e dopo anni passati a incassare, ho deciso che non mi stava più bene. Giorno dopo giorno ho messo i denti.Ho realizzato di non essere disposto a accettare questo mondo malato. Questa società malata.

Sono stufo di nascondermi. A tutti capita di indossare una maschera. Lo facciamo tutti i giorni. Si tratta di pura e semplice sopravvivenza. E da sempre sopravvive solo chi è più forte. In questo caso prevale chi riesce a recitare meglio la propria parte. L’ultimo attore a restare vivo su questo palco di menzogne.

E’ successo che ho fatto a botte con me stesso, consapevole che non ci sarebbe stato né un vinto, né un vincitore, ma solo tanti lividi e cazzotti.Ho imparato a mentire. Non c’è che dire, semplicemente mi riesce troppo bene.

Ho imparato come distruggere la quotidianità, evitando al tempo stesso che sia essa a distruggere me. Quali armi ho contro tutto il male che mi circonda? Forse che il mio arsenale di false sicurezze ha il potere di difendermi da tutti coloro che vorrebbero vedermi sconfitto?

Ho innalzato intorno a me mura invalicabili. Mura invisibili fatte di sorrisi e sguardi. Impossibili da scavalcare agli occhi distratti. Ho cercato in ogni fessura del mio spirito la forza necessaria per tirarmi fuori dal baratro in cui ero precipitato. Ho scelto di vivere nell’ombra, perché avevo perso ogni speranza di poter rivedere la luce.

Io sono Maudit, poeta maledetto figlio dell’invidia della gente, profeta senza volto e senza nome, vittima della sua generazione, il genere di persona alla ricerca della propria redenzione. E che non smetterà di cercare la propria libertà.

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