• Abbonati
Il concorso

Scribo ergo sum 2017: Quello che volevo essere

Scribo Ergo Sum è il concorso di scrittura creativa aperto agli studenti iscritti agli istituti secondari superiori della Provincia di Bergamo che hanno aderito al progetto: ciascun autore ha deciso il titolo e il genere letterario del proprio racconto che per l’edizione 2017 doveva essere svolto seguendo la traccia “Liberi tutti – Liberi di scrivere, amare, sognare, viaggiare; di muoversi, di esprimersi, di scegliere. Liberi di partecipare, di combattere per un’idea, di opporre resistenza, di rompere dei confini e spezzare delle catene. Ma anche liberi di ascoltare, tacere, imparare, riflettere, osservare il mondo e cercare di capirlo. Liberi di raccontare cos’è la libertà”.

QUELLO CHE VOLEVO ESSERE (racconto 16)

Sono le 2:00. È la prima notte che passo qui al collegio, il cuscino è duro e le coperte troppo leggere per la temperatura gelida di quest’inverno a Pisa, come previsto questo posto mi fa schifo. Ancora non mi spiego come i miei genitori abbiano potuto rinchiudermi qui. Non mi aspettavo che gli piacesse la mia decisione di intraprendere un percorso per diventare pittrice ma pensavo che mi avrebbero capita almeno un po’ e non credevo arrivassero a tanto. Fin da quando ero piccola mi imponevano limiti che gli altri bambini della mia età non avevano, hanno sempre voluto che fossi la figlia perfetta senza mai permettermi di essere me stessa.

Loro non potranno mai capire come mi sento quando dipingo, e quanto mi faccia star bene isolarmi in un angolo della stanza e buttare sulla tela tutto quello che non riesco a esprimere a parole.

L’unico legame vero che ho mantenuto in questi quindici anni di vita è quello con Giacomo, il mio migliore amico; l’unico che mi abbia mai capita davvero, con lui non ho mai avuto bisogno di nascondermi, infatti anche lui ama dipingere, ma al contrario di me, lui sta realizzando il suo sogno. Avremmo dovuto essere all’accademia di arte insieme, ma i miei genitori a me non l’hanno concesso. E mi hanno portata qua ieri, senza nessuna spiegazione, dicendomi semplicemente che era giusto così: a me sembra tutto meno che giusto. Questo posto è pieno di ragazze che non c’entrano niente con me, ragazze snob e apparentemente perfette, come mi vorrebbero i miei genitori. Ho notato però una ragazza diversa dalle altre, sembra più semplice e vera: da quel che ho capito si chiama Selene, sembra contenta di frequentare questo collegio che la porterà a diventare un prestigioso avvocato. Senza neanche accorgermene è già mattina ma non ho la minima voglia di alzarmi e scendere a far colazione con tutte le altre, d’altronde però non ho altra scelta… quindi mi faccio forza e mi preparo. Appena di sotto, mi siedo al tavolo quasi vuoto. Dopo poco mi raggiunge Selene che si siede proprio vicino a me. Finalmente ho l’occasione di parlarle e conoscerla meglio ma le parole non mi escono di bocca per paura di dire la cosa sbagliata; così, mentre cerco il modo di attaccare discorso, è proprio lei che mi rivolge la parola: “Piacere Selene” – mi dice sorridendo dolcemente. Mi sento subito meno imbarazzata e trovo la forza di risponderle: “Ciao, io sono Jennifer”. Iniziamo a parlare del più e del meno ed io mi dimentico, anche se per poco, delle mie paure. Scopro che nonostante le nostre idee contrastanti sul futuro, siamo molto più simili di quel che credevo. Lei vuole diventare un brillante avvocato, e, nonostante sia un lavoro molto diverso da quello dei suoi genitori, l’hanno sempre appoggiata: ecco un’altra cosa che ci differenzia, i miei mi hanno sempre ostacolato.

Passiamo il resto della giornata insieme, così troviamo il tempo per farmi conoscere meglio la scuola: l’inferno di Dante è niente a confronto. Nonostante Selene cerchi di migliorare il mio umore, continuo a sentirmi un pesce fuor d’acqua e la mia idea non è cambiata, voglio andarmene da qua.

I giorni passano e mi sento sempre più diversa dalle altre persone presenti in questo istituto. Ho appena ricevuto la risposta di Giacomo a una lettera che gli avevo mandato appena ero arrivata qua: leggendola mi scende una lacrima, per calmarmi prendo un foglio, inizio a scarabocchiare, ma mi mancano i miei colori e la mia vecchia vita. Ieri parlando con Selene le ho raccontato di quello che vorrei fare nella vita e le ho anche confessato di aver deciso di andarmene definitivamente da questo posto. Avessi diciotto anni non avrei neanche varcato il cancello di questa scuola, ma ne ho solo quindici e “non mi resta altro da fare” se non scappare da qui al più presto. Me ne andrò questo weekend, quando la scuola sarà più vuota, dato che molte ragazze tornano a casa il sabato e la domenica, così non correrò il rischio di essere scoperta. Selene mi sostiene in questa mia idea e mi coprirà se ce ne sarà bisogno.

Il fine settimana arriva velocemente e come previsto la scuola non è così affollata: riesco a prepararmi per la fuga. Sono le 23.00. È ora. Saluto velocemente Selene e apro la finestra pronta ad affrontare ciò che mi aspetta al di fuori di quest’ istituto, tanto ..… peggio di così non può andare, non ho idea di dove andrò né di cosa farò ma sarà sicuramente meglio di star rinchiusa qua dentro a seguire una strada che non è mia. Scavalco il cornicione e vado in giardino, per fortuna sono al piano terra. Attraverso correndo il grande prato e raggiungo un’apertura sul retro che avevo notato qualche giorno fa, con poca difficoltà riesco ad attraversarla uscendo da quest’inferno. Finalmente posso essere me stessa.

Inizio a vagare senza meta nella speranza di allontanarmi il più possibile dal collegio. Quando sono abbastanza distante, mi fermo e, guardatami in giro, noto una struttura abbastanza grande che sembra essere una fattoria, mi dirigo verso di essa e senza fare rumore entro nella scuderia, trovo un box libero; non è il massimo, ma c’è del fieno e non fa poi così freddo, per stanotte può andare.

Il giorno dopo mi sveglio presto con il canto del gallo, allora esco prima che mi veda qualcuno e vado in cerca di un posto in cui possa mangiare qualcosa. Una volta arrivata al bar più vicino ordino una brioche e un cappuccino, quando mi portano quanto richiesto vedo entrare una famiglia simile alla mia, due genitori e una bambina. Ancora non mi spiego come possa essere arrivata a questo punto, come due genitori, che dovrebbero amarmi e appoggiare le mie scelte non abbiano neanche provato a capirmi e non mi abbiano accettata per quello che sono. Ricevo una telefonata da Selene che mi distoglie dai miei pensieri, ma quando rispondo mi accorgo che non è lei a parlare ma è mia madre che sta piangendo disperatamente, mi prega di tornare e dice che mi stanno già cercando, ma io fredda riaggancio e mi precipito fuori dal bar per cercare la stazione. La raggiungo correndo e prendo un biglietto per il treno in partenza, voglio solo andare via. Mentre sto pagando sento qualcuno urlare il mio nome, è la polizia, deve avermi rintracciata attraverso il telefono. Senza pensare inizio a correre il più veloce possibile senza guardare dove vado. Sento un fischio ma sono troppo concentrata ad allontanarmi dai poliziotti dietro di me, attraverso i binari ma non abbastanza veloce da evitare il treno. Ora sono stesa a terra, non respiro e il mio cuore ha smesso di battere. Faccio appena in tempo a realizzare quanto successo, a rendermi conto di quanto sia stata sbagliata la mia vita: sono stata privata della libertà di prendere le mie decisioni. Vorrei davvero aver avuto la libertà di scegliere il mio futuro, di essere me stessa, perché la protagonista della mia vita sono io, dovevo essere io.

Iscriviti al nostro canale Whatsapp e rimani aggiornato.
Vuoi leggere BergamoNews senza pubblicità?   Abbonati!
Più informazioni
commenta

NEWSLETTER

Notizie e approfondimenti quotidiani sulla tua città.

ISCRIVITI