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Il concorso

Scribo ergo sum 2017: Foschia

Scribo Ergo Sum è il concorso di scrittura creativa aperto agli studenti iscritti agli istituti secondari superiori della Provincia di Bergamo che hanno aderito al progetto: ciascun autore ha deciso il titolo e il genere letterario del proprio racconto che per l’edizione 2017 doveva essere svolto seguendo la traccia “Liberi tutti – Liberi di scrivere, amare, sognare, viaggiare; di muoversi, di esprimersi, di scegliere. Liberi di partecipare, di combattere per un’idea, di opporre resistenza, di rompere dei confini e spezzare delle catene. Ma anche liberi di ascoltare, tacere, imparare, riflettere, osservare il mondo e cercare di capirlo. Liberi di raccontare cos’è la libertà”.

FOSCHIA (racconto 36)

Sento lontano un gran trambusto; avverto l’incessante rumorìo di passi pesanti, leggeri, ampi, svelti.

Sono troppo stanca, però, perché quelli riescano a tenermi sveglia.

Apro gli occhi piano piano. Mi alzo dalla sedia su cui mi ero appisolata e mi sgranchisco un po’ le gambe, seppure senza sentire sollievo.

Ho la schiena e il collo a pezzi, li massaggio un poco: sarebbe stato meglio se non mi fossi addormentata lì.Attorno a me è tutto come immerso in una sottilissima foschia; cerco nella borsa i miei occhiali, non trovandoli lascio perdere.

Lungo tutto il bianco corridoio ci sono tante porte, gli studi degli psichiatri; la porta di quello di mia sorella è ancora chiusa, non provo neanche a bussare, anche se avrebbe già dovuto aver finito.

Così inizio a percorrere il corridoio, almeno forse potrei trovare un medico o un infermiere a cui chiedere informazioni, ma non trovo nessuno, benché persista ancora quel lontano rumore roboante ed ovattato di prima, segno della presenza di qualcuno.

Allora provo pure a bussare allo studio.

– Ohi, posso entrare? –

Nessuno risponde.

Mentre continuo ad essere assorta nei miei pensieri, mi allontano dalla stanza, passeggiando per tutto l’ospedale, vedendo tante cose o forse niente, finché non mi ritrovo a sbirciare in una stanza con la porta socchiusa.

Una ragazza diafana dall’aria stanca e fragile riposa in un letto e a farle compagnia il suo battito cardiaco, una linea tremolante. Ora mi ritrovo davanti a lei. Vedo nitidamente quel pallido volto scavato, da lacrime, quella pelle spenta, quei fini capelli biondastri, aridi; ho già capito.

D’un tratto la preoccupazione per mia sorella viene sostituita da una distorta curiosità per questa ragazza, di cui sento di aver già udito il nome prima d’ora.

– Cosa ci fai nella mia stanza? – Mi chiede acida e seccata, aprendo i suoi occhi verde mela, scialbi, ma ancora sorprendentemente accesi.

– Ho visto la porta aperta e la volevo chiudere… – Che scusa pietosa.

– Mi chiamo Chiara –

Mi tende la mano scheletrica, che stringendo temo di farle male; avrà anche lei iniziato come ia sorella?

– E sì, sono anoressica –

Rimango attonita a quella sua risposta, inattesa ma desiderata. Le fa ancora male dirlo. Per la volontà delle mie gambe, le vado a sedere accanto. Non lo mai incontrata prima, ma lei non se ne lamenta, e neppure io…

– Perché sei qui in ospedale, …? –

– Sono Elena. Sono qui per mia sorella maggiore… oggi ha l’ultimo incontro con lo psichiatra per la sua bulimia – Lei mi guarda e poi distoglie lo sguardo. – In questi due anni si è impegnata davvero tanto, e poi da quando le hanno ricostruito l’esofago ed il piloro sembra essere un’altra persona; la persona che non è mai riuscita ad essere. Anche se…–

– “Anche se” cosa? Non sembra che tu ne sia felice –

– No, no. Non è niente. Piuttosto posso chiederti come è iniziata per te? – Sto impazzendo: saranno queste domande da fare?

­– Volevo entrare in un gruppo, che non voleva quelli come me, allora mi sono costretta a cambiare come piaceva a loro – si porta le mani al grembo – Tuttavia la cretina risulto pur sempre io; faccio schifo, il mio ragazzo ha ragione –

Resto perplessa alle sue parole, ma non c’è bisogno che indaghi con domande, è lei a proseguire. – Ero orribile prima, ed è una mia opinione. Adesso la mia forma raggiunge le mie

aspettative, è perfetta –

Forse non si ascolta quando parla.

– Scusami, il tuo ragazzo? La tua figura? Ma scherzi?! – Mi alzo dal letto di scatto, preda della rabbia – Non ti sarebbe piaciuto che gli altri ti accettassero per quello che eri? –

– Non è così semplice –

– Cosa non è semplice, esattamente? Cercare di non tarparsi le ali, cercare di non curarsi delle opinioni altrui, rimanendo libera dai pregiudizi! – Pronuncio ogni singola parola con gran foga, rovesciando addosso a questa sconosciuta tutto ciò che ho provato in questi anni per mia sorella.

– Ma senti chi parla! – mi urla furibonda e delusa; il verde dei suoi occhi comincia a risplendere come rame incandescente – Proprio tu mi parli di libertà, tu che sei cieca ed indifferente come tutti gli altri! Voi date consigli paterni, fate discorsi ampollosi, ma la verità è che facendo ciò nutrite la vostra necessità di attenzioni, fregandovene di quella altrui. Anche tu, no? Ti sei sempre presa cura di tua sorella, oltretutto più grande di te, e te ne sei accollata sempre i problemi, ma perché? Perché ci tieni, o perché vuoi accrescere il tuo stupido ego? –

Le sue parole mi lasciano spiazzata e paralizzata, mentre dagli occhi iniziano a sgorgarmi delle lacrime, che evaporando addensano la foschia. Come fa a sapere tutto? Come fa a conoscere tutti i miei dubbi? Mi tappo le orecchie, non voglio più sentire niente, non voglio accettarlo.

– Ed allora perché voi non dite mai niente?! – è la prima frase che, stridula, mi è venuta alla bocca, parole a caso, forse; poi però continuo, lasciando che tutto straripi – Perché ogni stramaledettissima volta vi presentate mute a tutti? Vi vergognate di mostrarvi per quello che siete, d’accordo, ma perché vi dovete sempre mettere una maschera in faccia? Credete che non vi si possano creare crepe? Pensate che le persone non vi riconoscano? Siete così tonte?

– No, non è così! – mi risponde sicura, ma poi si ritrae – Almeno non per me… –

– Allora non so… avete paura di togliervela, quella maschera, perché non sapete più che cosa ci troverete sotto? –

Ridacchio, mi sembra assurda come opzione, ma al vedere Elena rannicchiarsi offesa e disperata smetto. Mi sento la testa scoppiare, non capisco più quello che sta succedendo.

­– Sono patetica, vero? – mi dice quella rassegnata, ma serena, alzando lo sguardo in alto, ad un cielo illuminato da troppe stelle ­– Comunque, ritornando al discorso di prima, parlavi di libertà, no? Allora dimmi se a te sembra di essere libera. Hai mai fatto qualcosa in questi anni che non c’entrasse con tua sorella? –

La risposta era evidente ed il resto del discorso veniva da sé.

– Lo capisco, ma era mia sorella quella che stava soffrendo, non io. Che cos’avrei dovuto fare? Guardarla incurante distruggersi con le proprie stesse mani? –

– No, ma di sicuro non l’hai aiutata facendoti sorgere i dubbi che adesso hai. Pensa se l’avesse scoperto, non si sarebbe sentita ancora peggio per aver fatto stare male la sua sorellina? –

– Sì… –

– Adesso però non demoralizzarti, ché tua sorella avrà pure finito la seduta ormai –

Annuisco, anche se in verità non ero giù di morale, era solo che stavo riflettendo. – E se ti dicessi che mi fai veramente schifo?­­ –

Una fitta trafigge il petto della ragazza, strozzando qualsiasi parola prima che le uscisse dalla gola; dai bordi dei suoi occhi nasce una lacrima, di pura tristezza. Mi riavvicino a lei, appoggiandomi alla testiera del letto con una mano e con l’altra le prendo il volto. – Cosa mi diresti? –

– Io ti ringrazierei, Elena – mi sorride adesso.

Il mondo intorno a me inizia a vorticare pericolosamente e la vista mi si offusca, mentre il battito cardiaco della ragazza cessa, una linea piatta, finalmente non più tormentata, un rumore acuto e continuo che mi assorda; sto per svenire?

Mi sveglio di colpo; il busto mi si piega in avanti, in cerca di più aria, gli occhi mi lacrimano, ed un calore formicolante mi riscalda, espandendosi come le scintille d’un fuoco d’artificio dalla nuca verso le spalle e le clavicole. Uh, sono ancora in ospedale? Un brivido ghiacciato mi scala la schiena. Quando mi sono riaddormentata? Il battito del cuore mi martella le orecchie, mi pulsa nelle tempie, e mi sento confusa e nauseata. Non capisco cosa sia successo, sono solo certa che quel rumore assordante continua a riverberarmi nella testa.

La porta dello studio dietro cui è scomparsa mia sorella è ancora serrata, così decido di fare un altro giro per l’ospedale.

Frugo nella borsa per recuperare gli occhiali e, mentre me li metto, davanti a me dei medici passano trasportando una barella coperta da un telo bianco; qualcuno se n’è andato. Da sotto quel lenzuolo vedo spuntare una mano, è pallida e scheletrica come… la sua.

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