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Il concorso

Scribo Ergo Sum 2017: Fino all’ultima goccia

Scribo Ergo Sum è il concorso di scrittura creativa aperto agli studenti iscritti agli istituti secondari superiori della Provincia di Bergamo che hanno aderito al progetto: ciascun autore ha deciso il titolo e il genere letterario del proprio racconto che per l’edizione 2017 doveva essere svolto seguendo la traccia “Liberi tutti – Liberi di scrivere, amare, sognare, viaggiare; di muoversi, di esprimersi, di scegliere. Liberi di partecipare, di combattere per un’idea, di opporre resistenza, di rompere dei confini e spezzare delle catene. Ma anche liberi di ascoltare, tacere, imparare, riflettere, osservare il mondo e cercare di capirlo. Liberi di raccontare cos’è la libertà”.

Racconto numero 9 – Fino all’ultima goccia

Laxolo estrasse un calice e lo riempì. Come se fosse un sommelier, lo annusò, osservò e agitò, prima di berlo, sotto il visto innocente del piccolo Ambrosie. Pensò a quanto fosse buona un’annata invecchiata per quasi due decenni: ne bevve un altro sorso. Credeva di volerne ingurgitare almeno altri venti, ma fu fermato da un evento improvviso. Era seduto per terra, mentre afferrava il collo della bottiglia e lo rovesciava, facendo fuoriuscire il contenuto, quando sentì dei passi al piano di sopra. Sapeva di non aver chiuso l’ingresso, ma non pensava che qualcuno fosse così audace da scavalcare il cancelletto di metallo. All’improvviso sentì un rumore amplificato all’infinito, equivalente a quello che produce un bicchiere quando si infrange sul pavimento.
“Hai sentito anche tu?” chiese a quello che credeva essere Lapis, l’altro gatto, ma che era Ambrosie.
Salì le scale di corsa. Gli scalini si alternavano sotto i suoi piedi e sembrava volasse, finché non giunse di fronte alla porta che conduceva in cucina.
“E’ qui che sei?” chiese una voce esterna.
“Chi sei?” postulava Laxolo, strepitando.
Afferrò il pomo della maniglia, ma esso gli sfuggì dalla presa, poiché qualcuno, dall’altro lato, era riuscito a spalancarla prima di lui. Gli apparve colei che non avrebbe mai voluto vedere in quel momento, colei che forse avrebbe dovuto rimanere dov’era, colei che in tutti questi anni aveva sognato, ma mai era riuscito davvero a ricordare senza piangere. Era vera come un miraggio, vuota come uno spettro. Il cuore di Laxolo smise per un momento di battere.
“Sei tu?” domandò, pietrificato.
“Si e non me ne sono mai andata, Laxolo.”
“Cosa vuoi dire?”
“Io sono sempre stata qua.”
Lui sussultò “Ma non è possibile. E’ da anni che non ti vedo.”
“Ma cosa ti succede?” gli chiese lei, ridendo.
“Nulla, voglio solo capire…”
“Smettila di crogiolarti e vieni con me.” Porse la mano a Laxolo. Lui cercò di afferrarla ma non riuscì. Tuttavia proseguì verso di lei, che nel frattempo si era avviata verso il tavolo dove erano appoggiate due tazze, una color lavanda e una color minio.
“Ho preparato la tisana che più preferisci. Almeno così starai meglio.”
“Grazie,cara.”
“Siediti pure. Ti ho aspettato un bel po’! Si sarà quasi del tutto raffreddata.”
Laxolo si sedette, ma, sebbene davanti avesse la tazza, non riusciva a toglierle lo sguardo di dosso.
“Come facevi a sapere dove erano queste tazzine?” chiese.
“Erano nella credenza!” intonò a gran voce lei.
“Ho cambiato ordine da quando te ne sei andata.”
“Evidentemente ho avuto fortuna.” sospirò “Ma c’era una piccola ciotola a forma di riccio che temo di aver distrutto. Sono una gran maldestra, lo so.”
“Tranquilla, non ricordo nemmeno chi me l’aveva regalata.”
“Era proprio una bella ciotola. Per cosa la usavi? Te ne posso comprare una nuova.”
Laxolo fissò i ciottoli sparsi qui e là “Non me ne servivo. Preferivo tenerla per bellezza.”
“Il mio caro piccolo Laxolo. Sei sempre stato il più strano personaggio che abbia mai conosciuto.” la figura si mise al suo fianco e gli prese la mano destra. Laxolo era così emozionato che non poté bere la tisana e preferì vivere l’emozione sviluppatasi in lui. Quel momento di così grande piacere che non provava da ormai tredici anni.
“Meredith! Mi sei mancata moltissimo!”
“Tu continui a mancarmi, Laxolo, ma non posso aspettarti triste in eterno.”
“Cosa vuoi dirmi?”
“Un uomo chiuso in una caverna per molto tempo deve aspettare diverso tempo per potersi adattare nuovamente al sapore della luce. Tu non ci hai nemmeno provato.” Meredith lasciò la presa e si levò.
“Dove vai?” chiese Laxolo, implorandola di rimanere.
“C’è troppo buio in questa stanza. Mi piace la luce!”
Meredith si mosse con fare calmo e pacato verso la finestra, il cui pomo poteva essere persino arrugginito talmente di rado veniva utilizzato. Lo girò con fatica e dopo qualche istante spalancò anche le griglie. Il sole sfavillò e i raggi si proiettarono come frecce sul corpo di Meredith, che fu attraversata di netto da essi. Laxolo la vide brillare come una pietra preziosa, mentre il viso ricordava quello di una donna propendente all’anzianità, ma ancora nel pieno delle sue forze.
“Sei uno spettro?” le domandò, stranito.
“Sono tua moglie, la tua Meredith. Sempre tua.”
“Ma il tuo corpo non ha spessore: sei come un velo di lino, così delicato, così fragile.”
“Ora non vorrai dire che mangio poco!”
“Temo che tu non comprenda, cara.”
Meredith si scostò dalla luce e tornò al tavolo, dicendo “Io ho capito benissimo, ma qui non si tratta di me, si tratta di te. Bevi la tisana. Forse inizierai ad abituarti nuovamente al sapore della compagnia.”
Laxolo la ascoltò e bevve. Dopo aver finito, non avrebbe mai detto che quell’intruglio era tisana, anzi non riusciva a paragonarla a nulla che avesse mai sorseggiato. Non era né buona né cattiva, né dolce né amara. Non era nulla di fatto.
“Mi sembra di aver bevuto aria.”
“Aria fresca! Ecco cosa ci vuole, hai ragione!” esclamò esultando lei.
“Tu non bevi?”
“In realtà non ho sete, tantomeno fame.”
“Ho whisky e molto altro.”
“No! Quella melassa è solo nociva!” lo rimproverò “Un tempo bevevi solo tisana!”
“Un tempo ero felice.”
“Smettila di lamentarti!” continuava.
“Un tempo c’eri tu.”
“Ecco, un altro bicchiere di tisana.” Meredith fece comparire dal nulla un altra tazza e gliela porse.
“Basta, grazie.”
“Bevi, fino all’ultima goccia.”
Laxolo sentiva ora un sapore diverso in ciò che beveva. Sebbene avesse ancora un rarefatto aspetto di aria, il gusto era migliorato: era come bere una fonte di acqua pura,fresca, incontaminata.
“Questa è ottima!”
“Sapevo che ti sarebbe piaciuta.”
“Sto molto meglio.”
Meredith lo fissò sbieca “Prima stavi male?”
“Di certo non stavo bene.”
“Credi davvero che ci sia solo questa alternativa? Bene o male? Non hai altro a cui credere? Non hai una minima idea di come la vita ti abbia trattato? E tu le permetti di distruggerti, ancora?”
Laxolo rimase sconvolto da quella predica “Io non so che farci! Sto così!”
“Una cioccolata?”
Laxolo fu scosso, nuovamente, da Meredith “Come? Con questo caldo?”
Lei si voltò e ne fece apparire una scodella dal nulla. “Bevila, fino all’ultima goccia.”
“Ho detto che non ho freddo.”
“La cioccolata non deve essere bevuta quando fa freddo, bensì quando fa caldo.”
“Che sciocchezze sono?” chiese, irritato.
La donna scosse la testa e lo incitò nuovamente “Bevi! Bevi!”
“Oh, come vuoi!”
Laxolo osservava attentamente l’intruglio che stava per bere, convinto che avrebbe avuto un effetto stupefacente in lui come del resto aveva avuto la tisana poco fa. In fede sua non poteva credere di aver di fronte Meredith, ma non riusciva ad esternare la felicità che ogni notte sognava, quando pensava a lei. Non si capacitava del perché: forse era un’emozione troppo forte, forse aveva bevuto troppo, o la tisana era stata drogata. La verità era un’altra: lui aveva vergogna di starle di fronte, dopo tredici anni.
“Come mi trovi?”
“Parli a me?” si interrogò Meredith
“Certo! A chi se no?”
“Non saprei nemmeno come risponderti. E’ meglio che rimaniamo sul tema della cioccolata.”
“Era ottima!”
“L’hai bevuta tutta? Si dice che aumenti il buon umore.” disse, ridacchiando.
Mentre era interrogato, fissava il fondo della scodella, notando che ne mancava ancora una lacrima.
“Mi rispondi?” insistette lei.
“No, manca una lacrima. Ho sempre avuto il vizio di lasciare una lacrima di ciò che bevo sul fondo del bicchiere. Non trovi sia curioso?”
“Conosco i tuoi difetti, caro. Bevi fino all’ultima goccia!”
Finì di fare ciò che gli veniva imposto e si alzò. Era determinato ad ottenere spiegazioni ed effettive risposte sulla presenza misteriosa di quella donna, che tanto voleva rivedere, ma che altrettanto non poteva comprendere.
“Tu sei morta! Ti ho uccisa!” gridò all’improvviso.
Meredith, quando udì quelle parole, era nei pressi della finestra appena aperta, sotto un riflesso piuttosto singolare che pervadeva l’intera stanza. Il suo corpo sembrava danzare, mentre i raggi purpurei coronavano la scena con splendidi contrasti luminosi, palesi eccessivamente all’occhio.
“Cosa stai dicendo? Non ti capisco.” ripeteva, ridendo e danzando.
“Ti prego, ascoltami.”
“Non vedi cosa sto facendo? Unisciti a me!”
“Voglio che mi ascolti!”
Sua moglie si arrestò di colpo. Rimase ferma, non con sguardo ieratico. Il suo volto era assorto, assorbito dall’atmosfera, dalla magia, dalla curiosità, dall’impossibilità della situazione. Era un piccolo ed unico momento di estasi.
“Cosa ti succede?”
“Non senti?”
“Che cosa?”
“Una voce! E’ Adelaide, la mia amica. Vieni, così posso presentartela.”
Laxolo scosse la testa “Conosco Adelaide da una vita!”
Meredith corse all’improvviso verso la porta che dava sul giardino e uscì. L’ex detective vide la propria amata svanire nel nulla, come un soffio di vento allontana un grumo di foglie secche. Era fuggita, aldilà della cucina, in un luogo così luminoso che era quasi impossibile riuscire a guardarlo.
Si alzò da tavola e corse anche lui dove era fuggita Meredith. Quando varcò la porta nulla ebbe più senso: sentiva Meredith e Adelaide ridere, ma non le vedeva. La luce non gli permetteva di vedere nulla se non grandi macchie color marrone e nero. Si muoveva, annaspando. Sentiva anche qualcosa che gli faceva solletico al palmo della mano.
“Meredith?! Adelaide?!”
Un dolore inaspettato lo colpì allo stomaco. Si accovacciò al suolo. Cercava di rialzarsi ma era come se un grande peso di piombo lo schiacciasse sul pavimento. Puntò lo sguardo verso il cielo dove credeva di vedere una figura simile a quella di sua moglie e, una volta spalancati gli occhi, tutto divenne nero, la mente si oscurò e perse i sensi.
Quando si svegliò era quasi ora di cena. Si trovava nella cantina, accanto ad una bottiglia di vino il cui contenuto si era riversato a terraaccanto ad un calice spaccato in due. La testa gli faceva un gran male e, ancor peggio, c’era il piccolo Lapis addormentato sulla sua pancia, mentre Ambrose, sveglio, gli leccava le dita della mano destra. Un gatto che dorme sulla pancia, a sua detta, non solo porta sfortuna, ma causa molti problemi allo stomaco. Non si chiese se ciò che aveva visto fosse stato reale o meno. A volte la vita ti pone di fronte questioni irrisolvibili ed è inutile passare tempo a domandarci o crogiolarci nel dubbio, quando è più utile voltare pagina. In tutto quel disordine ,reale e mentale, una cosa era certa: aveva sete e non vedeva l’ora di bere una tazza di tisana bollente.

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