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Il viaggio

Diario da Viloco, Bolivia: “La curiosità e l’amore per l’altro mi hanno spinto ad intraprendere questo viaggio” fotogallery

Davide ha 24 anni, è di Bergamo e si è laureato in Lettere nell'aprile 2016. Adesso è in Bolivia, più precisamente a Viloco, e scriverà per BGY una sorta di diario di bordo sulla sua esperienza da missionario che lo legherà a quei luoghi fino a novembre 2018

25 marzo 2017
Viloco (Bolivia).

Con oggi sono 5 mesi esatti in terra boliviana. Mi sembra una buona ricorrenza per inaugurare questa collaborazione con la nuova realtà di BGY il cui esordio è rimbalzato anche sulle mie piattaforme social che saltuariamente tengo controllate. Quello che proverò a fare (impegni permettendo) sarà tenere una sorta di diario di viaggio che racconti di questa mia esperienza missionaria in Bolivia che mi legherà a questi luoghi e a questa gente almeno fino al novembre 2018.

«La strada che si percorre è importante, poiché ogni passo ci avvicina all’incontro con l’altro. È per questo che ci siamo messi in viaggio». Mi piace citare sovente questa frase di Ryszard Kapuściński, uno dei più grandi reporter europei del secolo scorso, che racchiude in poche e semplici parole il senso più profondo del viaggiare, del mettersi in cammino. Se escludiamo per un attimo dai nostri orizzonti i cosiddetti “viaggi di relax”, quelli trascorsi su esotiche spiagge caraibiche o immersi in qualche bagno termale a stretto contatto solo con altri turisti – viaggi che hanno come unico scopo quello di farci staccare la spina dai problemi e dalle impellenze del quotidiano -, se escludiamo questa tipologia di viaggio allora possiamo facilmente comprendere come l’unica motivazione che ci spinge a lasciare la nostra terra e metterci in cammino sia precisamente un interesse antropologico ed etnografico vero l’Altro. In buona sostanza siamo dei curiosi, dei ficcanaso. E questa insaziabile curiosità ci porta a muoverci, a spostarci, ad andare verso. Ci porta a conoscere l’Altro e, se il viaggio dura abbastanza tempo, a condividerne con lui i suoi usi e costumi, la sua lingua e le sue tradizioni.

Credo che sia per questo che ho deciso di mettermi in viaggio: spinto da una forte curiosità e da un forte interesse verso l’uomo-mio-fratello e verso la sua cultura che non conosco e che, mi sembra, valga la pena di scoprire. Perché credo che la nostra vita abbia un senso, trovi piena realizzazione solo se condivisa, solo se messa al servizio del prossimo. Per meno di questo non credo valga la pena spendere la propria vita. Ed è per questo che ho scelto come esperienza un percorso missionario che, per questi due anni, mi farà stare a stretto contatto con un popolo e con una realtà completamente diversa da quella bergamasca (distante da qui 10.000 chilometri), in un contesto totalmente avulso da quello cittadino a cui sono sempre stato abituato.

Davide_ Bolivia

Vivo a Viloco, un villaggio di minatori a 4300 metri di altitudine; un luogo magico, incastonato tra le maestose montagne della cordigliera delle Ande, raggiungibile dopo 6 ore di macchina dalla più vicina città di La Paz e dopo 80 chilometri percorsi su strade totalmente sterrate fatte di curve e controcurve che toccano quote di oltre 5000 metri, a strapiombo su panorami mozzafiato in cui giganteggia il sacro Illimani. Sono qui per affiancarmi al lavoro di don Antonio Caglioni, prete bergamasco con alle spalle già 25 anni di missione in terra boliviana; pian piano sto prendendo dimestichezza con la lingua e con i compiti che mi sono stati assegnati.

Credo però che siano doverose alcune precisazioni per sgombrare il campo da possibili (e legittimi) fraintendimenti. Comincerei con il dire che cosa non è il missionario, in special modo il missionario laico: contrariamente a quanti (molti) credono, il missionario non è una figura che va nel mondo portando solo ed esclusivamente “il Verbo divino” – per fortuna quel tipo di missione che potremmo definire puramente evangelizzatrice non esiste più da qualche tempo. Con qualche eccezione, non è nemmeno un supereroe che viene mandato alle periferie del pianeta per salvare la vita di persone. Chi è allora il missionario? La risposta non è immediata e probabilmente non ne esiste una realmente esaustiva. Per quello che mi sembra di aver capito in questi primi mesi, il missionario è una persona che ha voglia di mettersi in gioco e di mettersi al servizio del prossimo; una persona che ha voglia di ascoltare, di imparare, di conoscere. Non è uno che arriva con risposte pronte o soluzioni ai problemi, ma anzi porta con sé domande, dubbi, curiosità. Cerca di vivere per un periodo (breve o lungo) in una realtà nuova, provando a contribuire nella quotidianità e nei piccoli gesti, supportando con la sua presenza e le sue competenze. Ogni missione fa storia a sé e credo sia proprio questo il bello: c’è da reinventarsi sempre in base alle caratteristiche proprie di ogni luogo; in base alle necessità e alle richieste.

Diario di bordo da Viloco, Bolivia

Porto la realtà in cui vivo come esempio pratico: il territorio su cui lavoriamo è piuttosto vasto, comprende circa 35 comunità – la più vicina si trova a 20 minuti di macchina, la più lontana a circa 2 ore. Sono pueblitos (come li chiamano da queste parti) piccoli, per la maggior parte formati da qualche centinaio di persone alcuni addirittura da qualche decina, che fanno dell’agricoltura e dell’allevamento le uniche fonti di guadagno e sostentamento della famiglia (escluso Viloco che, come detto, è un pueblo di minatori). Realtà rurali dunque, gente semplice e povera che spesso e volentieri parla solo aymara (idioma precoloniale ancora piuttosto utilizzato nelle zone del campo), che mastica le sacre foglie di coca per attenuare la fatica e il senso di fame, che vive di quello che la terra gli offre.

In aiuto ai numerosi casi di estrema necessità, don Antonio ha creato “Associazione Kantutitas”: un progetto di adozioni a distanza che, grazie all’apporto economico dei padrini italiani, contribuisce a dare un piccolo aiuto a circa 500 famiglie del campo. Nostro compito è quello di vivere a contatto con queste persone; portare loro qualche buona parola, renderci utili con semplici azione di prossimità e di gratuità in queste realtà periferiche e troppo spesso dimenticate. Perché lo facciamo? Perché qui? Perché con queste persone? Penso che siano dei buoni spunti per una prossima puntata di questo diario di viaggio.

Hasta pronto!

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