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Il punto di valori

Rivedere tutta la questione libica

Siamo proprio sicuri di aver letto bene, finora, lo scacchiere libico, i suoi equilibri strategici e la natura dei nostri reali interessi in quel complesso sistema?

Siamo proprio sicuri di aver letto bene, finora, lo scacchiere libico, i suoi equilibri strategici e la natura dei nostri reali interessi in quel complesso sistema?

Siamo sicuri che l’obiettivo di una politica estera matura è quello di farsi illudere dal primo che capita, quando farfuglia parole che non conosce, quali “democrazia” e “libertà”? Siamo infine sicuri che, sul piano culturale, i nostri modelli di vita siano esportabili e del tutto traducibili, senza residui, in contesti sociali, religiosi, antropologici del tutto diversi da quelli europei o occidentali?
Temo proprio di no.

Nelle culture politiche, diversamente dalla linguistica contemporanea, vale la cosiddetta “ipotesi di Sapir-Whorf”, secondo la quale la struttura grammaticale di una lingua modifica la stessa struttura del pensiero. L’Occidente, ma soprattutto la Francia e la Gran Bretagna, che più di altri avevano agitato i principi di una “guerra umanitaria” contro il cosiddetto tiranno Muammar al Minyar el Gheddafi, si sono eclissate immediatamente dopo la fondazione del National Transitional Council dell’agosto 2011 e l’uccisione, il 20 ottobre di quell’anno, del “tiranno”.

Una geopolitica dei Fratelli Grimm, il riconoscimento del cattivo delle favole e l’attesa della sua giusta fine.

Una geopolitica delle signore al tè delle cinque, dove si disegna il profilo del bad boy di turno, con qualche brivido sulla schiena perché, come scriveva la poetessa Sylvia Plath, “ogni donna ama un fascista/lo stivale sulla faccia/e il cuore brutale/di un bruto a te uguale”. Una geopolitica quindi moralistica, ingenua come poche, priva di qualsiasi analisi della natura oggettiva delle forze in campo, incapace di capire come, per esempio, la destabilizzazione libica avrebbe portato con sé anche la prossima fine di Tunisia, Algeria, Egitto.

Era ovvio che la fine di un regime autoritario, sanamente autoritario, avrebbe favorito il jihad, ma questa ovvia eventualità non è stata mai calcolata da nessuno.
Ora, stiamo ripetendo lo stesso errore, favorendo il regime ormai ipotetico di Fajez al Serraj.
Un governo che nomina, mentre Al Serraj è in viaggio, un capo dell’intelligence, che è notoriamente legato al generale Haftar.
E che, come Consiglio Presidenziale, di cui Serraj fa parte, ha sede nella base solo di Abu Sittah, vicino a Tripoli.
E non si arrischia a mettere il naso fuori dalla porta.

È vero comunque che il Governo di Accordo Nazionale, quello creato sulla base dell’Accordo Politico per la Libia mediato dalle Nazioni Unite il 17 dicembre 2015, ha come giustificazione democratica proprio la Camera dei Rappresentanti, il governo ormai di fatto autonomo e rivale dell’Est; ma in mezzo c’è appunto il generale Khalifa Haftar con la sua “Operazione Dignità”, che pare essere l’unico profeta armato dell’area, a parte le piccole e sempre meno rilevanti fazioni.

È l’Esercito Nazionale Libico, la creatura del generale, a controllare di fatto proprio la Camera dei Rappresentanti, che dovrebbe peraltro giustificare il regime “democratico” della Presidenza ad Ovest, in mano a un ormai disarmato Al Serraj. Solo un pazzo furioso poteva, dall’esterno della Libia, una macchina così delicata e pericolosa, ma questo folle abita spesso, come un fantasma dell’Opera, tra i corridoi del Palazzo di Vetro dell’ONU a New York.

Le finalità strategiche del generale Haftar sono oggi chiarissime: eradicare l’Islam jihadista almeno dall’Est della Libia, difendere i confini (e molti lavoratori) dell’Egitto presenti in Cirenaica, evitare che l’area vasta della Libia venga conquistata da forze jihadiste contrarie agli interessi degli Emirati e dei Sauditi, che sanno bene quanto sia potente, per antiche tradizioni etno-religiose, la Fratellanza Musulmana in quel mondo.

Ad Al Serraj è stato recentemente consigliato, dall’ONU e dalla ancor più inetta, se possibile, Unione Europea, per non parlare poi degli USA, di “procedere ad accordo inclusivo” con le forze di Haftar, una inclusione che ricorda quella di una volpe in un pollaio. A Tripoli, per non farsi mancare nulla, vi è anche il Governo di Salvezza Nazionale diretto da Khalifa al-Gwell.

Egli nasce come referente del gruppo di politici che perde le elezioni libiche del giugno 2014, utilizzando successivamente le forze armate della “Coalizione dell’Alba Libica”, la milizia islamista che opera contro Al Serraj e Haftar durante la “seconda guerra civile libica” del 2014-2016. Furono infatti quelli di “Alba libica” a conquistare l’aeroporto di Tripoli nel 2014, appunto. Oggi, assistiamo alla creazione, sulle ceneri di Fajr (Alba) Libia della Guardia Nazionale, costituita a metà del Febbraio scorso, sempre a Tripoli. Non prenderà ordini dal Governo di Unità Nazionale di Al Serraj, comunque, ed è formata da elementi provenienti soprattutto da Misurata.
Probabilissime infiltrazioni della Fratellanza e di Ansar Al Sharia, quindi.

La nuova forza armata sostiene ancora, con ogni probabilità, Khalifa al-Gwell, autore di un recente colpo di Stato a Tripoli, e al Gwell è sempre il riferimento primario della Fratellanza Musulmana, del Qatar e della Turchia, che hanno prospettive ben diverse sulla Libia rispetto a quelle saudite, egiziane e degli Emirati.

Tanto più Gwell diviene pericoloso, tanto più la sua questione è collegata alle tensioni tra UE e Turchia.
Anche questa carta abbiamo dato, con la folle destituzione di Gheddafi, all’Islam del “jihad permanente” e a quello “della spada”.
Oltre che alle potenze regionali islamiche del Medio Oriente.

L’Italia poi, la più ingenua e ignorante sugli equilibri reali oggi presenti in Libia, spera solo in Al Serraj per far cessare o limitare i flussi di migranti dalle coste libiche.
Pia illusione. Intanto, i terminali petroliferi di Sidra e di Ras Lanuf sono stati riconquistati proprio da Khalifa Haftar, che dopo due anni ha liberato l’area di Bengazi dalle milizie jihadiste e si sta portando su Tripoli, il prossimo inevitabile obiettivo. Le aree petrolifere sono state espugnate da un insieme di forze che raggruppa qualche salafita qaedista, i militari della Fratellanza, le Brigate per la Difesa di Bengazi, i militari di Misurata e le “Guardie Petrolifere” di Ibrahim Jatran.
Poi, sono arrivati i soldati del vecchio generale Haftar che fu destituito proprio da Gheddafi, che lo riteneva il responsabile della sconfitta libica in Chad.
Sia quelli di Misurata che le Guardie Petrolifere sono fedeli, a caro prezzo, al governo di Serraj.

Ma non doveva essere, il GNA di Al Serraj, il “governo laico” che piace tanto all’ONU e agli europei?

Jatran vuole comunque una maggiore autonomia delle province dell’Est petrolifero libico, contrasta la Fratellanza Musulmana oggi al potere, di fatto, a Tripoli e, con le sue “Guardie petrolifere”, circa 17.500 uomini nel momento di massima espansione, tiene l’area e, talvolta, anche altre zone della Libia.
Oggi, comunque, questa struttura è allo sbando, ma le aree petrolifere sono ancora tenute, in alcune aree, a parte le forze di Haftar, dai vecchi gruppi di Jatran, che è un alleato, sempre più svogliato, di Al Serraj.

E non si deve affatto dimenticare che il Parlamento dell’Est libico sostiene la fine di una National Oil Corporation unitaria della Libia. A Tripoli, poi, il Governo di Salvezza Nazionale di al-Gwell, detto “il parlamento di Tripoli”, basa la sua labile legittimità basandosi sul Congresso Generale Nazionale, che risale al vecchio parlamento libico del 2012. Gran parte dei membri del Congresso Generale Nazionale fa anche parte del Consiglio di Stato, un organismo riconosciuto dall’Accordo Politico Libico gestito, a suo tempo, dalle anime belle dell’ONU.

Un’area politica, questa, che si riconosceva soprattutto nella “Alba Libica”, nelle milizie di Misurata, oggi sostanzialmente favorevoli a Serraj e nelle cinque milizie locali dell’Ovest libico.

A Tobruk, infine, o meglio ad Al Bayda, si trova anche il governo, attivo dal Marzo 2014, di Al-Thinni, erede diretto di quel governo di transizione eletto immediatamente dopo la caduta di Gheddafi; e che dovrebbe trasferire i suoi poteri al GNA di Al Serraj.
Aspetteremo a lungo.

Poi, a parte le forze del califfato siro-iracheno nella Sirte, combattute e debellate prima dalle milizie collegate ad Al Serraj e poi dalle forze di Haftar, sono operative in Libia le brigate jihadiste non direttamente collegate al califfato di Al Baghdadi.
Si tratta del Consiglio della Shura dei Rivoluzionari di Bengazi, che è stato creato, unendo diverse milizie jihadiste, proprio per contrastare l’”Operazione Dignità” di Haftar, poi abbiamo Ansar Al Sharia, che nella sua frazione di Bengazi si è fusa con il suddetto “Consiglio della Shura”; e opera con militanti che hanno combattuto in Siria e in Iraq su tutto il territorio libico.

Poi troviamo la Brigata dei Martiri del 17 Febbraio, la Brigata Rafallah al Sahati, il Consiglio dei Mujahiddin della Shura di Derna, il Consiglio della Shura dei Rivoluzionari Islamisti di Ajdabiya, a Nord Est della Libia, la Brigata dei Rivoluzionari di Tripoli, la Forza Speciale di Deterrenza di Tripoli, lo Scudo 1 della Libia.
Quasi tutti questi gruppi hanno oggi sede e operano nell’Ovest del territorio libico, a Tripoli o a Misurata.
Ansar Al Sharia, che era già operativa immediatamente prima della caduta di Gheddafi, ha organizzato fin dal 2011 campi di addestramento per i foreign fighters, soprattutto tunisini e egiziani.

La guerra, in queste condizioni, si alimenta da sola: tanto più un gruppo è feroce e organizzato, tanto più può gestire estorsioni, rapine, rapimenti, ricatti.
Intanto, l’”Operazione Dignità” è in crisi poiché la Banca Nazionale Libica non si attiene all’accordo di fornire il 40% dei guadagni della vendita di petrolio al governo di Bengazi, mentre sono ancora labili i pagamenti del 60% a quello di Tripoli. La separazione della NOC è nell’aria e, con la separazione, avremo la stabilizzazione ab aeterno del caos libico.

Lo scenario peggiore, per noi.

Peraltro, Misurata è in gran parte sostenuta, come città, dai finanziamenti del Qatar, della Turchia e del Sudan.
È una spina nel fianco, per entrambi i contendenti, alla nuova unità dello Stato libico. Solo un perfetto cretino poteva allora costruire una situazione geopolitica del genere, lo abbiamo, anzi li abbiamo trovati.

Soluzione?
Sostenere l’”Operazione Dignità” di Khalifa Haftar, anche per evitare che il generale cada nelle mani della Federazione Russa, che potrebbe aspirare a due basi militari in Cirenaica; ed Haftar è l’unico ad avere il progetto di una Libia Unita, di uno stato non-islamista, di una correlazione di forze non estranea alla stabilità del resto del Maghreb, che dipende direttamente dalla crisi libica.
I “profeti disarmati”, come è sempre accaduto nella storia del pensiero politico occidentale, vanno quindi abbandonati al loro destino.

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