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L'arringa

Durata ragionevole del processo: gli avvocati non ci stanno e scioperano

L’Unione delle Camere Penali ha proclamato l’astensione dalle udienze dal 20 al 24 marzo, con altissime percentuali di adesione nel foro di Bergamo, e ha già indetto un nuovo sciopero dal 10 al 14 aprile.

La decisione del Governo di porre la fiducia sul maxi emendamento al disegno di legge di riforma del codice di procedura penale, che è stato approvato al senato il 15 marzo scorso, ha suscitato la protesta ferma e decisa dell’avvocatura. Infatti l’Unione delle Camere Penali ha proclamato l’astensione dalle udienze dal 20 al 24 marzo, con altissime percentuali di adesione nel foro di Bergamo, e ha già indetto un nuovo sciopero dal 10 al 14 aprile.

Dopo tanti anni di divisioni interne all’avvocatura, l’Unione delle Camere Penali Italiane, le altre associazioni forensi e il nuovo Organismo Congressuale Forense si sono trovati uniti nel denunciare la scelta del Governo, che ha represso il dibattito parlamentare su temi fondamentali per la garanzia della libertà del cittadino e il rispetto del giusto processo.

Secondo l’avvocatura, infatti, il disegno di legge, pur essendo volto, come enunciato nel titolo, al ‘rafforzamento delle garanzie difensive’ e a garantire ‘la durata ragionevole dei processi’, in realtà consegue l’obiettivo opposto, ovverosia quello della riduzione delle garanzie per il cittadino e dell’aumento della durata del processo.

I nodi dello scontro sono quelli dell’allungamento dei tempi di prescrizione e quello del cosiddetto ‘processo a distanza’.

La scelta di aumentare la prescrizione attraverso la sospensione del processo dopo la sentenza di condanna di primo e secondo grado e, comunque, per un tempo non superiore ad un anno e 6 mesi, suscita diverse perplessità. Infatti tale modifica rischia inevitabilmente di allungare ancora di più i tempi del processo, con ciò mortificando la dignità delle persone sottoposte a processo per un tempo lunghissimo e togliendo alle stesse vittime del reato e alla società il diritto a vedere accertata la responsabilità in un tempo accettabile.

Non si può sottacere, infatti, che già gli attuali tempi di prescrizione sono più che adeguati per giungere ad una sentenza. Come si può sostenere che sette anni e mezzo, ad esempio, non siano sufficienti per processare un furto di lieve entità?

Altro nodo della discordia è quello del cosiddetto ‘processo a distanza’, che per gli accusati detenuti per alcuni reati gravi prevede la partecipazione al processo quasi esclusivamente in videoconferenza, tranne che il Giudice ritenga necessaria la presenza dell’imputato.

E’ evidente che su temi così delicati ragioni di efficienza non possano in alcun modo giustificare la distanza dell’imputato dal processo e dal suo giudice. La riforma priva del tutto irragionevolmente l’imputato del diritto e dell’opportunità difensiva di guardare il suo giudice e i suoi testimoni e di assistere a quello che avviene in aula accanto al proprio difensore con la possibilità di istruirlo.

Probabilmente, anziché architettare simili riforme, bisognerebbe intervenire con maggiore convinzione sull’organizzazione della giustizia attraverso molteplici interventi.

In primo luogo, ben più che il processo a distanza, è urgente un’informatizzazione massiccia della giustizia penale sin dalla fase delle indagini, sulla scorta del processo civile telematico. Ad esempio non è più possibile accettare che tutti gli atti debbano essere depositati in forma cartacea, intasando così con inutili accessi il lavoro delle cancellerie.

In secondo luogo è indispensabile attuare un incremento e un ricambio generazionale dell’organico dei Tribunali. Qualcosa si sta facendo è vero. E’ stato indetto un concorso per ottocento cancellieri, anche se i tempi per la loro selezione saranno biblici, posto che al concorso parteciperanno oltre 300.000 candidati.

Da ultimo sarebbe auspicabile una revisione in senso manageriale dell’organizzazione dei Tribunali, con l’adozione di buone prassi, la separazione della funzione giudicante da quella organizzativo – amministrativa degli uffici, l’assegnazione degli incarichi direttivi sulla base del merito e della competenza e non dell’appartenenza alle correnti della magistratura associata.

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