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Mario Dondero, un uomo, un racconto

Alla Galleria Ceribelli di via San Tomaso sessanta scatti di una leggenda della fotografia

“Fotografare è cogliere delle verità incontrovertibili”. Parola di Mario Dondero, tra i più grandi fotoreporter italiani di fama internazionale, scomparso nel dicembre 2015 dopo una vita in prima linea sui fronti della Storia del secondo Novecento così come nelle retrovie del quotidiano e delle silenziose resistenze della gente comune.

Formatosi sul campo, nella Milano del Bar Jamaica a fianco di altri nomi del fotogiornalismo suoi coetanei come Ugo Mulas, Carlo Bavagnoli, Alfa Castaldi, nel 1955 si sposta a Parigi dove collabora con quotidiani, periodici e grandi riviste internazionali: Milano e Parigi, oltre all’amata Roma, saranno i poli di un’esistenza d’eccezione, condotta “on the road” girando il mondo con l’inseparabile “Leica”, tra Europa, Asia, Africa, America.

La mostra “un uomo, un racconto” che la Galleria Ceribelli propone fino al 13 maggio presenta 60 scatti selezionati da Tatiana Agliani in collaborazione con l’Archivio Dondero di Fermo, stampati in formati straordinari realizzati ad hoc.

Le fotografie raccontano la storia degli eventi e la storia degli individui. Si va dai passaggi chiave della nostra memoria recente come il maggio francese, la caduta del muro di Berlino, i conflitti del Medio Oriente, al racconto minuto fatto di volti e di gesti ordinari, istantanee di città, di villaggi, di famiglie, di sguardi, in una parola la vita quotidiana d’intimità e di comunità a diverse latitudini, dal Mali a Cuba, dal Portogallo alla Russia di Putin.

“Fotografare aiuta a pensare e a capire”, diceva Dondero, per il quale le fotografie “sono conquiste sul passato” perché permettono di “strappare al passato dei momenti e riproporli per il futuro”. Manifesto di poetica di un maestro dell’obiettivo che intendeva il proprio mestiere come “dovere sociale”, un impegno a tenersi costantemente allerta, ad andare al di là della parola scritta e delle formule condivise, grazie a uno sguardo e a un intuito d’eccezione che molto dovevano alla sensibilità dell’uomo prima ancora che del fotografo.

Una fotografia “umanista” quella di Dondero, animata da intelligenza antiretorica e da irriducibile tensione intellettuale: una parabola iconografica di disarmante semplicità ed evidenza che si riassume nella mostra bergamasca in una formidabile galleria-documentario di un’epoca.

Che cosa rimane oggi della pratica del fotografo nato nel 1928? “Rimane innanzitutto”, scrive Walter Guadagnini el catalogo della mostra edito da Silvana Editoriale: “la libertà di muoversi tra situazioni, realtà, eventi, stili, anche profondamente diversi tra loro, con la certezza di partecipare a un movimento di rinnovamento che attraversa discipline e nazioni, che rende l’atto fotografico estensione del proprio essere al mondo, senza ideologie che non siano quelle dell’onesta nei confronti dello spettatore e, prima ancora, del soggetto ritratto, indipendentemente dal suo ruolo nella società”.

La mostra, in via San Tomaso 86, inaugura sabato 11 marzo dalle ore 18. Orari di apertura: martedì-sabato 10.00-12.30; 16.00-19.30. Per info: 035.231332.

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