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L'incontro

“Vado oltre il dolore per raccontarvi di mio figlio, della vita e della morte”

Greta Facchetti, classe '96, ci racconta l'emozionante incontro tenutosi a Pagazzano con Giampietro Ghidini della fondazione Ema Pesciolinorosso e la toccante storia di suo figlio Emanuele.

Nella serata di venerdì 24 febbraio, all’Oratorio San Giovanni Bosco, si è tenuto un incontro, organizzato dalle associazioni di Pagazzano, Morengo e Bariano, curato da Giampietro Ghidini della fondazione Ema Pesciolinorosso che su Facebook conta più di 275mila follower.
Dopo i convenevoli saluti e ringraziamenti del parroco e della preside dell’Istituto comprensivo di Bariano, tra i 300 circa spettatori, papà Giampietro inizia a parlare della sua storia.

Il racconto incomincia nell’afosa estate del 2003 quando suo figlio Emanuele ha 6 anni e tanta paura per le condizioni in cui riversa il suo pesciolino rosso che nell’acqua caldissima dello stagno di casa sta rischiando di morire. Il padre, di fronte alle sue preoccupazioni, premurosamente gli consiglia di provare a spostare il pesciolino nel fiume, che si trova a poche centinaia di metri da lì. Il bambino è indeciso e inizialmente restio, ma poi si lascia convincere. Tuffato nell’acqua fresca, il pesce riprende vita e nuota nella corrente; passano però pochi attimi e una papera affamata lo abbocca per mangiarlo, di fronte agli occhi increduli di Ema e del suo papà.

Dieci anni dopo, nel novembre 2013, Emanuele è ormai un ragazzo con tanti riccioli e idee rivoluzionarie nella testa. Nel pieno della vitalità dei suoi 16 anni partecipa a una festa in cui prova della droga. Dopo l’assunzione, nella sua testa si aprono una sofferenza immensa e un male insopportabile e implacabile. È fuori di sé e con lui rimane solo un amico che lo porta a fare una passeggiata per aiutarlo a riprendersi prima di tornare a casa. Arrivano al fiume, nel punto in cui il pesciolino rosso era stato liberato anni prima, Emanuele, preso da una forza incredibile a cui è impossibile porre resistenza, si tuffa nella corrente. Il suo corpo senza vita verrà trovato solo 10 ore dopo, poco più avanti, con le braccia spalancate.

La storia è molto commovente, ma l’intento di papà Giampietro non è quello di rattristare, bensì raccontarla la vita poiché, come lui stesso afferma, vale la pena d’essere vissuta aldilà e nonostante il dolore. La sofferenza, infatti, non è altro che una parte presente nella nostra esistenza e da essa è importante riuscire a trovare la forza di continuare. Giampietro ammette di avere imparato con la sua stessa esperienza che il dolore più grande, come la perdita di un figlio, può rendere una persona migliore; come ricorda Gandhi in una famosa frase: “l’uomo è uno scolaro e il dolore il suo maestro.”

L’obiettivo della serata non è, quindi, quello di offrire delle risposte, ma porre delle domande affinché ognuno dei partecipanti possa interrogarsi per evitare di perdersi in un’esistenza stagnante e passiva, come stava per accadere al pesciolino rosso. Giampietro ha un approccio rivoluzionario perché la sua testimonianza non cerca di spiegare i motivi per cui il figlio ha deciso di provare le sostanze stupefacenti o raccontare perché non bisogna cadere nella trappola della droga, o, almeno, questa è solo una piccola parte della sua storia. Con grande coraggio e umiltà, porta avanti un’autoanalisi in cui espone i suoi difetti, le sue difficoltà e le sue cadute per spiegare gli errori che hanno determinato la sua vita e che hanno segnato indelebilmente anche quella della sua famiglia.

È un uomo che si spoglia delle sue fragilità di fronte a una folta platea, per la 750esima volta in 3 anni, rinunciando al suo orgoglio nella speranza che il suo percorso e il tuffo di Emanuele possano essere un aiuto per qualcuno. Giampietro sta riscoprendo il suo fragile sogno rivoluzionario che aveva da ragazzo, ma che si era perso in un mondo in cui al centro di tutto non c’è l’amore, ma il denaro e il successo. Dopo la laurea e il matrimonio, si era, infatti, concentrato a tempo pieno sul proprio lavoro per riuscire a garantire ai figli il benessere economico, considerato tanto necessario nella nostra realtà occidentale, e dimenticando il valore degli affetti perché preso dalla rabbia e dello stress degli impegni.

La morte del figlio non ha messo la parola “fine” nel suo percorso esistenziale, ma gli ha donato uno slancio e la forza di ripartire per allungare la propria mano verso gli altri. Così in pochi giorni è nata la fondazione e col tempo papà Giampietro ha imparato l’importanza di perdonare e resistere all’istinto di rancore e odio che avrebbe potuto portarlo a vendicarsi. Ha appreso la necessità di abbassarsi e anche umiliarsi per mostrare a genitori e figli gli errori che si possono e si devono evitare, insistendo sull’importanza del dialogo per crescere e migliorarsi.

Sottolinea come uno dei doni più grandi che abbiamo è la possibilità di vedere il mondo, le sue meraviglie e stupircene perciò non dobbiamo perderci nelle piccolezze, nei nostri smartphone o nel dolore, ma tenere gli occhi e il cuore ben aperti.

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