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L'intervista

Misiani e il futuro del Pd: “Renzi, un capo divisivo, sto con Orlando”

Le primarie e il congresso sono il tema politico del momento: e i bergamaschi cosa pensano? Con chi si schierano? Iniziamo a tastare il polso del territorio con un'intervista ad Antonio Misiani, deputato democratico.

Giovedì Andrea Orlando, ministro della Giustizia, ha sciolto le riserve e annunciato che sarà in pista per la carica di segretario del Partito Democratico. Se la giocherà con Matteo Renzi, leader uscente, e Michele Emiliano, il governatore della Puglia che ha fatto un po’ di giravolte (dentro-fuori) e poi ha deciso di sfidare il fiorentino. Quindi sono almeno tre in pista per la leadership del Pd, mentre altri nomi di spicco, come Pierluigi Bersani, Enrico Rossi, Massimo D’Alema (che stasera, venerdì, sarà a Bergamo, leggi) hanno deciso di lasciare il partito. Il congresso e le primarie sono dunque il tema politico del momento: e i bergamaschi cosa pensano? Con chi si schierano? Iniziamo a tastare il polso del territorio con un’intervista ad Antonio Misiani, deputato democratico.

Come vive questo momento delicato, anzi di più, per il Pd?

Lo vivo con sofferenza e preoccupazione. La scissione di un pezzo importante della sinistra indebolisce il Partito democratico. Non ho condiviso per nulla le posizioni e le scelte di Bersani e D’Alema, ma credo che quanto sta accadendo ci debba fare riflettere. Renzi avrebbe dovuto impegnarsi fino all’ultimo per evitare la separazione. Non lo ha fatto e ha sbagliato.

Perché il Partito democratico è arrivato a questo livello? Non solo rottura interna, ma a una vera e propria diaspora?

La diaspora è iniziata tempo fa ma il referendum del 4 dicembre ha segnato, a mio giudizio, un vero e proprio spartiacque. Le colpe, però, non stanno da una sola parte. Un pezzo del popolo di sinistra non ha mai accettato la vittoria di Renzi, considerandolo (a torto) come un usurpatore. La minoranza ha rappresentato questo dissenso comportandosi spesso come un partito nel partito. Renzi ci ha messo del suo, con il suo approccio muscolare e con alcune forzature che hanno lasciato segni profondi. Molti di noi, infine, avrebbero dovuto far sentire con molta più forza la propria voce in alcuni passaggi cruciali.

Lei non è mai stato un renziano doc, però ha avallato quasi tutte le scelte del segretario uscente. Le condivideva davvero? Referendum compreso?

Non ho votato Renzi nel 2013 ma ho sempre pensato che, finito il congresso, ognuno di noi dovesse rimboccarsi le maniche rimettendosi a lavorare al servizio del partito. In una comunità politica esprimere dissenso è sempre legittimo ma ognuno – salvo che per ragioni di coscienza – ha il dovere di rispettare le decisioni assunte. Nel merito, continuo a dare un giudizio complessivamente positivo dell’azione di governo di questi anni, ma le pesanti sconfitte che abbiamo subito ci devono portare a riconoscere i limiti della nostra esperienza, a correggere ciò che non sta funzionando in provvedimenti come il Jobs act e la Buona scuola, a mutare rotta laddove serve. La riforma costituzionale merita una riflessione a parte. Paradossalmente, oggi sono ancor più convinto che fosse utile al Paese. Purtroppo la campagna referendaria è stata gestita malamente, arrivando al 4 dicembre da soli contro tutti dopo aver trasformato la consultazione in un voto pro o contro Renzi.

Adesso cosa farà? Con chi sta? Renzi, Emiliano, Orlando?

Sono molto amico di Andrea Orlando, mi ha chiesto una mano per la campagna congressuale e lo aiuterò volentieri. Andrea ha dato un’ottima prova di sé al governo, sa fare politica, darà al Pd il cambiamento che serve. Abbiamo bisogno di una nuova scala di priorità, che ci metta in condizione di rispondere meglio alla domanda di protezione che sale da una società inquieta e smarrita. Il partito va ricostruito, deve tornare ad essere la casa di tutti i riformisti, dobbiamo rivitalizzarne la carica di innovazione, il radicamento sociale e territoriale. Orlando mi sembra il candidato più attrezzato per questi obiettivi. Renzi, invece, si è dimostrato un capo divisivo. Oggi il Pd ha bisogno di un leader diverso, capace di ascoltare e di dialogare, di tenere unito il partito e di costruire alleanze.

Verosimilmente, vista anche la spaccatura in tre (per ora) Matteo Renzi dalle primarie uscirà vincitore…

Le primarie sono aperte per definizione. Renzi rimane forte, ma non è più il Renzi del 2012. Emiliano attirerà gli antirenziani più duri, ma i tatticismi e le giravolte del suo esordio non hanno certo giovato alla sua credibilità. Vedremo.

Secondo lei cambierà qualcosa nelle amministrazioni? Ci sono giunte e a rischio? In Bergamasca?

Non vedo rischi per le nostre amministrazioni locali, anzi. Bergamo è il modello di ciò che avrebbe potuto essere il Pd con una gestione meno muscolare e più inclusiva. Le diversità ci sono, eccome, sia nella giunta che nel gruppo consiliare. Nel comune capoluogo Giorgio Gori, un renziano della prima ora, è riuscito a farle convivere bene, traendone una spinta positiva. Il Pd nazionale dovrebbe prendere esempio da questa esperienza.

Cosa vorrebbe dire a Renzi, fuori dai denti?

Di passare dall’io al noi, anche se temo che non sia nelle sue corde.

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