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Il punto di valori

Il nuovo DCI, Director of Central Intelligence, di Donald Trump

Daniel Ray “Dan” Coats è il nuovo DCI, Director of Central Intelligence, nominato dal Presidente Trump, una designazione che tutti attendevano dagli inizi dello scorso gennaio. Il DCI è una figura piuttosto controversa nel vasto panorama, fin troppo parcellizzato, delle agenzie di intelligence statunitensi.

Il Director of Central Intelligence è una funzione costituitasi nel 2004; dopo l’evidente fallimento dei principali Servizi USA l’11 Settembre, ma è stato contrastato spesso dai direttori della CIA e della NSA che talvolta, come accadde con Leon Panetta alla direzione della CIA nel 2009, bloccarono ogni flusso di notizie da Langley all’ufficio del DCI. Dan Coats è stato membro della Camera dei Rappresentanti dal 1981 al 1989, ha poi sostituito Dan Qayle come senatore dell’Indiana, un seggio senatoriale che ha poi mantenuto fino al 2016, lavorando sempre al Comitato per gli Affari dell’Intelligence.

Dopo aver abbandonato temporaneamente il Senato, Dan Coats è stato nominato ambasciatore in Germania, dal 2001 al 2005. Si noti bene che, poi, Coats è ufficialmente bandito dall’entrare nella Federazione Russa, per le sue pesanti ironie su Putin e, soprattutto, per la sua richiesta di sanzioni ben più pesanti di quelle attuali, già severe, contro Mosca per la sua annessione della Crimea.
Ma quello che qui ci interessa di più è il lavoro che Coats ha svolto presso King & Spalding, la maggiore società di consulenza legale per le imprese e le istituzioni pubbliche, fondata ben 130 anni fa ad Atlanta, Georgia.

Uno studio che segue oltre la metà delle aziende comprese nell’indice di Fortune 100 e che dispone di oltre 900 legali sparsi in 19 sedi in tutti gli USA. King & Spalding, poi, ha guadagnato nel 2016 oltre 3.702.000 Usd dalle sue sole attività di lobbying presso le istituzioni rappresentative e di governo.

Segnalata tra le dieci prime organizzazioni di lobbying negli Usa, King & Spalding risulta nell’elenco della “National Law Journal Survey” tra le prime 50 influencer, ovvero strutture di influenza politica e strategica, degli Stati Uniti. Lo studio legale ha rappresentato la Lockeed Martin nel 2007 e la Boeing, oltre ad altri 191 clienti, fino ad oggi.
Una società legale che, oltre che a gestire il contenzioso, letteralmente crea, con la sua influenza, come la K&S ha fatto anche recentemente per i sauditi, le norme che poi andrà a discutere, per conto dei suoi clienti, nelle sedi legali più opportune.

È comunque la King & Spalding che svolge tutto il lavoro di lobbying, negli USA, dell’Arabia Saudita. Tra i clienti di Dan Coats come partner della King & Spalding, a parte la suaccennata Lockheed Martin, per la quale ha fatto finanziare il progetto dell’F-22 e alcune vendite di armi all’estero, vi è inoltre la società di private equity “Cerberus Capital Management”, diretta da John Snow, già segretario del Tesoro con la presidenza di George H. Bush. Il portafoglio di Cerberus è oggi di 100 miliardi di Usd, e opera sia nel mercato intermedio dei titoli che nell’immobiliare.
Gli investimenti esteri della Cerberus sono peraltro diretti da Dan Qayle, già vice presidente degli USA con George H. Bush e predecessore di Dan Coats come senatore dell’Indiana.

La suddetta ditta di “private equity” è inoltre proprietaria di DynCorp, una società di sicurezza privata che opera come contractor per il governo degli Stati Uniti.
Tra i contratti più recenti di DynCorp, vi sono il mantenimento del materiale logistico della riserva, quello per le trasmissioni militari a terra in Kosovo, nonché la gestione degli aerei in alcune basi dell’Aeronautica statunitense. Inoltre, DynCorp, e questo ci interessa in modo particolare, opera anche nel settore dell’ intelligence, con programmi di formazione e certificazione per gli operatori delle Agenzie pubbliche statunitensi; ed inoltre svolge raccolta e analisi autonoma dei dati sul terreno, che poi fornisce, a un costo, sempre alle Agenzie.

La privatizzazione dei Servizi, futuro terribile per la sicurezza dello Stato, è già avvenuta, almeno negli Stati Uniti.

Non dimentichiamo infine che DynCorp è proprietaria quasi in toto di GeoEye, un operatore di satelliti di osservazione. GeoEye si è fusa nel 2013 con DigitalGlobe.
Fare e lanciare satelliti per l’imagery vuol dire acquisire un vantaggio comparativo sul piano economico, per verificare i flussi di scambi in tutto il globo, per la geologia, per studiare e prevedere lo sviluppo delle risorse petrolifere o minerarie, agricolo, per prevedere il nesso tra le colture e i fenomeni meteorologici globali.
Dan Coats, fra l’altro, è stato scelto per rappresentare gli interessi della Ad Hoc Coalition for Fair Pipe Imports from China, un gruppo di pressione dei produttori di acciaio statunitensi contro le importazioni di quel prodotto dalla Cina.

Coats, poi, ha lavorato anche per la Achemos Groupe lituana, un gruppo di società che si occupa soprattutto di fertilizzanti e che possiede, inoltre, un piccolo ma importante impero dei media nel proprio Paese.

Il nuovo DCI ha poi fatto lobbying per l’acquisto dei programmi di addestramento industriale della tedesca Festo Group in Iraq, Arabia Saudita, Kossovo e Afghanistan.
Ma, insomma, in che direzione si svilupperà la privatizzazione dell’intelligence USA durante la presidenza Trump?

Basta dare un’occhiata alle nomine più recenti.
Joe Hagin, vice Chief of Staff per le Operazioni, implica direttamente un ruolo primario per la società fondata da Hagin, la CCG, Command Consulting Group. David Cohen, già vicedirettore delle operazioni alla CIA, è socio della CCG, ditta tra i cui fondatori figura anche Steve Atkiss, già capo di stato maggiore della polizia di frontiera e delle dogane statunitensi oltre a Ralph Basham, già capo del “Secret Service”, che è la struttura per la protezione del Presidente e delle principali cariche dello Stato. La CCG possiede anche la CGS, Command Global Services, che ha guidato le operazioni per la scoperta e la verifica delle riserve finanziarie di Muammar Gheddafi.

Quella specifica azione era diretta da Charles Seidel, un ex-ufficiale del Direttorato delle Operazioni della CIA. Seidel oggi presiede il settore mediorientale della PGD, Patriot Defense Group, fondata dall’ex-agente della CIA Todd Wilcox. Ma c’è anche, e non sappiamo ancora quanto vicina al nuovo Presidente USA, la vecchia e potente società privata di intelligence Booz Allen Hamilton, che raccoglie dati ed elabora analisi per il DCI e le principali cariche militari e di governo USA da almeno trenta anni.

Vi è da studiare il futuro, nell’era Trump, anche della CSRA Inc., che ha sviluppato e gestisce tutto il sistema interno dei dati classificati alla NSA e svolge azioni di supporto informativo per i comandi USA in Europa e in Africa; oppure la SAIC, un’azienda per il contracting militare che è entrata nel lucroso business dell’intelligence privatizzata comprando SCITOR, una società ben inserita nel sistema satellitare segreto del Pentagono. Da non dimenticare, in questo strano panorama dei Servizi Segreti privatizzati negli Stati Uniti, la CACI International, nota alle cronache per aver fornito il personale degli interrogatori ad Abu Ghraib, la quale ha recentemente comprato la National Security Solutions e la Six3 Intelligence Solutions, mentre quest’ultima ha fornito il targeting contro i taliban alle forze NATO in Afghanistan e, tra poco, fornirà intelligence alle forze USA in arrivo in Siria.

Il personale che viene utilizzato da queste agenzie private è ingente: Booz Allen ha 12.000 elementi, tra analisti e operativi, la CACI 10.000, ma comunque in totale tutte le agenzie private di intelligence. Umana o da Segnali, mettono in campo circa 50.000 uomini e donne. In totale, il Dipartimento della Difesa utilizza 1,4 milioni di persone e 770.000 dipendenti civili, mentre i contractor privati che operano per il DoD USA sono, tra operatori di intelligence e altre attività militari, circa 750.000.
In Iraq, a metà del 2016, vi erano 2485 contractor, in relazione a 4087 militari statunitensi.

In Afghanistan, i militari USA previsti per quest’anno sono circa 8000, ma i contractors “civili” saranno almeno 26.500.

Secondo alcuni giornalisti americani, circa il 70% del budget per l’intelligence nazionale è destinato a contractor privati; e con la nuova presidenza Trump gran parte della cybersecurity sarà in mano ai privati.
Se si ritiene quindi che l’intelligence sia una semplice raccolta di singoli dati empirici sensibili e rari, come spesso accade nella intelligence community USA, allora una qualche privatizzazione può essere utile, data la maggiore intrinseca elasticità delle società private rispetto alle sovrastrutture burocratiche pubbliche.
Se invece si ritiene che un Servizio debba non solo raccogliere e utilizzare giornalisticamente i dati sensibili e non altrimenti raggiungibili, ma soprattutto analizzarli con una mente strategica e geopolitica, la privatizzazione dell’intelligence è, insieme, pericolosa e inutile.

Peraltro, se si pensa giustamente che l’intelligence sia una funzione primaria dell’interesse nazionale, questa privatizzazione dei Servizi può essere perniciosa, dato che una impresa privata, anche in questo delicato settore, vuole soprattutto mantenere sine die il suo business.
Peraltro, la categoria del “terrorismo” è tale da fornire materiale infinito per una egualmente infinita ricerca di dati e di focolai.

Ma, se non ripenseremo in modo creativo il rapporto culturale e politico tra Islam e Occidente, tra Paesi pacifici dell’area musulmana e il “jihad della spada”, se infine non faremo “guerre culturali” credibili, il terrorismo jihadista si ripeterà, secondo la categoria hegeliana della “cattiva infinità”.

E si tratta di attività che non si possono dare a contractor, ma a una élite politica e strategica degna delle sfide prossime venture; e magari aliena da lauti e facili guadagni.
Come disse un imam sunnita ad un operativo dei nostri Servizi, “fateci vedere un vostro grande uomo, e noi ci convinceremo che avete ragione”.

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