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Mattia e leonardo sbragia

“I nostri 10 piccoli indiani: tra ironia e sorprese”

Mattia e Leonardo Sbragia, padre e figlio, al Teatro Donizetti di Bergamo fino a domenica 12 febbraio con "Dieci piccoli indiani" di Agatha Christie raccontano a Bergamonews i loro personaggi in questa nuova edizione del famoso giallo.

Mattia e Leonardo Sbragia, padre e figlio, al Teatro Donizetti di Bergamo fino a domenica 12 febbraio con “Dieci piccoli indiani” di Agatha Christie.

Martedì sera il debutto, com’è andato?
Mattia: Bellissima serata al Donizetti, c’ero già stato, atmosfera conosciuta e sempre emozionante.
Leonardo: Per me invece è stata la prima volta nel vostro teatro, devo dire altamente emozionante. Lo spettacolo è andato molto bene, con gli eredi di Agatha Christie in platea

Quest’opera ha un finale diverso rispetto alle note trasposizioni al cinema o a teatro.
Mattia: In realtà siamo pertinenti al libro. Le produzioni precedenti, al cinema in tv e a teatro lo cambiavano. Decidere di attenerci al testo ha pagato (non scriviamo come finisce per non spoilerare per quei pochissimi che non hanno letto il libro). Devo dire che anche la scelta di mettere insieme un importante prodotto, anche costoso di questi tempi in cui la cultura è bistrattata, sta dando soddisfazione: teatro sempre sold out, pubblico caldo… E nonostante ci siano questi personaggi sempre in sala, non c’è staticità, c’è sempre movimento, si sente crescere la tensione.

E’ facile portare in scena un titolo come questo?
Mattia: No. Ieri sera eravamo emozionai anche perché non solo c’era il nipote di Agatha Christie, ma anche la detentrice dei diritti d’autore d’Italia, altri esperti del testo, un plotone pronto a spararci.
Edoardo: Come parla bene eh? Sembra che abbia studiato
Mattia: Guarda che so’ tuo padre…
Edoardo: Noi facciamo esattamente quello che c’è scritto nel romanzo. La Christie scrive una seconda trilogia durante il nazismo che, a differenza della prima è tuitt’altro che ottimistica, e lì c’è Dieci piccoli indiani con versione più cupa.
Mattia: E’ anche una sorta di critica sociale. Un mondo borghese che ha sempre qualcosa da nascondere nell’armadio.

Che ruoli avete?
Mattia: Io sono William Blore, l’agente di polizia che s’intrufola di nascosto tra gli invitati a cena. Un investigatore sui generis, che le sbaglia tutte ed è accusato di aver fatto falsa testimonianza per una persona che poi è morta d’infarto in seguito.
Leonardo: Io faccio Anthony Marston, giovane tronfio e galletto, viziato e superficiale. Una di quelle persone che si ritrovano nei circoli e salotti borghesi, che fa sempre battute fuori luogo senza nemmeno rendersi conto. Lui è un pirata della strada.

Avete studiato insieme le vostre parti? Provate insieme?
Leonardo: No no, son parti differenti, peraltro io col suo personaggio non parlo quasi mai.

Com’è stato calarvi nella parte in questo mondo inglese anni Quaranta.
Mattia: Per il suo film René Claire ha utilizzato molti attori comici. E ho usato questo metodo, cercando di stemperare la tensione grazie a un’ironia leggera
Leonardo: Il mio personaggio era più difficile perché devi calarti in una persona che porta con sé una colpa morale, non punita dalla legge

Mattia: Quello che abbiamo riscontrato è che la sintesi dello spettacolo è riscontrabile nella realtà di oggi. È attualissimo

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