L’attesa svolta non è arrivata nelle indagini per l’omicidio di Daniela Roveri. Non è stato infatti possibile ricavare il dna dal capello ritrovato sul palmo della mano del cadavere della manager d’azienda uccisa con una coltellata al collo la sera del 20 dicembre nell’androne del palazzo in cui viveva in via Keplero 11. Così, a oltre un mese da delitto di Colognola, le indagini ripartono da capo.
Gli inquirenti speravano di poter ricavare un codice genetico dal capello, o dagli altri frammenti piliferi rinvenuti sul corpo, ma gli esami svolti dai carabinieri del Ris hanno rilevato che, in assenza di bulbo, non è stato possibile ricavere il dna di quello che avrebbe potuto essere il killer della 48enne.
Sono invece attesi per la prossima settimana gli esiti degli accertamenti svolti sul materiale rinvenuto sotto le unghie della donna, anche se le prime anticipazioni escluderebbero la presenza di tessuto epidermico di un soggetto estraneo.
Le indagini, coordinate dai sostituti procuratori Davide Palmieri e Fabrizio Gaverini, ripartono quindi dalle testimonianze di chi conosceva la donna. In primis la madre, Silvia Arvati, che è già stata interrogata più volte, confermando la vita normale e senza ombre della figlia.
Saranno sentiti di nuovo anche i vicini di casa, nella speranza che qualcuno possa aver notato qualche movimento strano nella zona, la sera del delitto o nei giorni precedenti.
Saranno riascoltati anche i compagni della palestra frequentata dalla vittima, “Il club” di Azzano San Paolo e verrà esaminata la documentazione dell’azienda in cui lavorava Daniela, la Icra Spa di San Paolo d’Argon, specializzata nella produzione di materiale refrattario.
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