“Porto in scena la mia storia e racconto la disabilità senza retorica e buonismo”. Così Antonella Ferrari illustra lo spettacolo “Più forte del destino – Tra camici e paillette la mia lotta alla sclerosi multipla”, che proporrà domenica 4 dicembre alle 21 al teatro Qoelet di Redona, a Bergamo. Un’esibizione intensa in cui l’attrice ed ex ballerina, già protagonista di film di successo come “Un Matrimonio” di Pupi Avati, di fiction e della soap “Centovetrine”, nonché ambasciatrice Aism, pone al centro dell’attenzione la sua convivenza con la sclerosi multipla. La serata, promossa in occasione della giornata internazionale delle persone con disabilità, ha finalità benefica: il ricavato verrà devoluto alla sezione Aism di Bergamo.
Abbiamo intervistato Antonella Ferrari per saperne di più e per conoscere la sua storia.
Come è nato lo spettacolo?
È tratto dal mio libro, “Più forte del destino”, che è uscito nel 2012 e diventato best seller Mondadori, ed è stata una grandissima soddisfazione. Considerando che non nasco scrittrice ma attrice, ho pensato che il modo migliore per diffondere il messaggio che volevo comunicare, cioè che si può convivere con una malattia e si possono realizzare i propri desideri, ho trasformato il testo in uno spettacolo teatrale. Ed era una sfida tosta…
Come mai?
Portare in scena la disabilità non è una cosa che fanno tutti e quelle poche volte che mi è capitato di vedere qualcosa era pieno di retorica, tristezza e colori cupi, mentre io voglio trasmettere colore, vita e soprattutto ironia. Sul palco prendo in giro gli stereotipi legati al mondo della disabilità, i talk show televisivi alla ricerca della lacrima facile e anche me stessa. Una parte è dedicata al mio passato da ballerina e nella tappa romana del 26 maggio scorso al Parioli ha visto anche la partecipazione di Lorella Cuccarini. E poi ci sono tanti altri momenti…
Ad esempio?
C’è il momento della diagnosi e della rabbia, una diagnosi arrivata con vent’anni di ritardo, mentre il finale, che non riguarda la malattia, è commovente perché parlo della mia famiglia e di mio padre che non c’è più. Al pubblico rimane una riflessione col sorriso: in scena non c’è nessun tipo di retorica, perché la odio. Sono sempre stata abbastanza cinica, detesto il buonismo, quei luoghi comuni per cui i disabili appaiono come supereroi, felicissimi e senza nessun momento di cedimento. Invece, sono normali, io sono una persona normale, con tantissime fragilità come tutti, non sono un’eroina, non ho niente da insegnare e nemmeno lo spettacolo, che racconta semplicemente la mia esperienza, quello che penso dei medici ai quali mi sono rivolta e del mondo della televisione. Molti episodi fanno ridere, mentre altri fanno arrabbiare.
E cosa pensa dei medici cui si è rivolta?
Purtroppo sono stata molto sfortunata nei primi vent’anni alla ricerca della diagnosi. Sono andata in ospedale con i primi sintomi a 11 anni e la malattia mi è stata riconosciuta quando ne avevo 29: per tutto quel tempo mi sono sentita dire che ero stressata. Ho avuto a che fare con medici che definisco miopi, perché non hanno visto un’evidenza che, poi, ho scoperto si poteva già vedere eseguendo determinati accertamenti.
Ci spieghi…
Se i neurologi che mi avevano visitato anni prima mi avessero ascoltata, il dubbio della sclerosi multipla sarebbe arrivato molto prima. Il rapporto con il medico, specialmente nei casi di malattie croniche, è fondamentale: il paziente deve essere ascoltato e non considerato solo un numero. Inoltre, è necessario che il dottore utilizzi molto tatto: deve ricordarsi che quello che riferisce al malato potrebbe essere un macigno che quest’ultimo porterà con sé per tutta la vita. Io purtroppo anni fa ho avuto a che fare con medici che hanno detto cose che ancora oggi mi fanno male: il fatto che i primi sintomi siano stati considerati psicosomatici mi ha fortemente creato un danno morale. Ora, invece, per fortuna sono attorniata da esperti splendidi.
Dopo la diagnosi cosa le ha dato forza per continuare?
La diagnosi è stata una conquista più che una sentenza: ho potuto finalmente dare un nome al mio dolore, ero sicura che da quel giorno sarebbe diventata una battaglia ad armi pari. È stata una liberazione, finalmente conoscevo il nome del nemico. Sicuramente, in tutta la vita, poi, mi ha aiutato tantissimo avere una famiglia presente e molto unita, e una fede forte, che mi ha permesso di non sentirmi mai sola. Ho sempre percepito la presenza di qualcuno che da lassù mi tendeva la mano: non ho mai chiesto a Dio perché proprio a me, in quanto sono convinta che ci sia un disegno e che lui sappia quello che è giusto per me. Credo di essere una disabile privilegiata: faccio un lavoro che amo, che per me è fondamentale: ho incanalato nel teatro, nel cinema e nella fiction tutte le mie energie perché lì mi sento viva.
È difficile per un disabile fare tv?
C’è moltissimo buonismo, tanta retorica e spesso moltissimi pregiudizi. I pregiudizi non te li dicono, ma li vedi: faccio fatica a fare un provino, a essere accolta in un’agenzia che rappresenta attori, vengo spesso emarginata perché considerata un’attrice di serie b perché malata. Ci sono state poche persone che hanno scommesso su di me, come il maestro del cinema Pupi Avati, che credeva veramente nelle mie capacità e mi ha fortemente voluta per il film “Un matrimonio”. A lui interessava avere una brava attrice, non gli importava che fossi malata e si è sempre raccomandato di non permettere mai a nessuno di sminuire il mio talento. Sarei felice se anche altri registi volessero scommettere su di me, ma molto spesso si fa fatica a essere coscienti del valore artistico di una persona disabile. Ho ricevuto tante porte in faccia ma, dato che non mi arrendo facilmente, con tenacia ho cercato di riaprirle. Il mio curriculum comunque è vasto, ma è vero che la tv ancora nicchia: ti preferisce da ospite che racconta la propria storia anziché come addetta ai lavori. in Italia si fatica a dare spazio a un artista disabile, mentre all’estero, invece, ci sono molti attori disabili che riescono a lavorare in modo continuativo. Non mancano alcuni esempi positivi, come Braccialetti rossi o Ballando con le stelle che ha accolto artisti disabili.
E quali sono i suoi progetti per il futuro?
Sto lavorando a diversi nuovi progetti, anche televisivi. Sono in attesa di risposte per una proposta molto importante, che rappresenterebbe un sogno, ma per ora non posso anticipare nulla. Inoltre, mi sto dedicando al lancio di una linea di stampelle glamour: sono l’unica in Italia ad averne colorate e molti me le chiedono.
Ha paura per la sua salute? Come s’immagina il futuro?
Cerco di non immaginarlo. La paura c’è: ho la secondaria progressiva, che è ancora orfana di medicinali, anche se i medici stanno studiando molto per individuare possibili terapie. Cerco di riempire la mia vita di progetti proprio per non pensare: è inutile trascorrere le giornate in casa avendo paura, è meglio riempirle di cosa belle così, qualora arrivasse qualcosa di brutto, nel frattempo, si sono potute godere.
Per concludere, un suo ricordo di Anna Marchesini, che ha vissuto la sclerosi.
È stata un esempio di grande attrice, brava, comunicativa ironica: la adoravo e quando a teatro ho interpretato ruoli divertenti mi sono ispirata a lei.
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