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Verso il voto

“Ragioni per il sì e il no”, il confronto tra Gori e Gandolfini sulla riforma costituzionale

Nella serata di martedì 15 novembre, al Centro congressi “Giovanni XXIII” di Bergamo, si è tenuto il dibattito “ Referendum Costituzionale. Le ragioni del sì e del no”, con tema il referendum costituzionale, organizzato dal “Forum bergamasco delle associazioni familiari”.

Nella serata di martedì 15 novembre, al Centro congressi “Giovanni XXIII” di Bergamo, si è tenuto il dibattito “ Referendum Costituzionale. Le ragioni del sì e del no”, con tema il referendum costituzionale, organizzato dal “Forum bergamasco delle associazioni familiari”.

A confronto il presidente del comitato “Famiglie x il no” Massimo Gandolfini , a sostegno del “no” al referendum, ed il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, rappresentante del comitato per il “sì”.

“Abbiamo scelto di far incontrare due voci differenti, quali un civile ed un politico” spiega il rappresentante del forum Vanni Invernizzi, indicando come le due voci siano non solo di schieramenti opposti, ma anche di provenienza culturale diversa.

Lo stesso Gandolfini tiene a precisare come il suo comitato sia nato “ per far sentire ciò che è il sentire comune della gente”, affermando la scelta di non entrar a far parte di alcun schieramento politico proprio per dar voce a chi meno ne ha. Dall’altra parte Gori sostiene di non sentirsi propriamente un politico, piuttosto un amministratore pronto a rispondere alle esigenze dei cittadini. Il dibattito, moderato dal giornalista Franco Cattaneo, si incentra su alcuni punti della riforma ed alcune conseguenze che essa possa portare quali l’accelerazione del processo legislativo, la riforma del Senato ed il titolo V della Costituzione sul rapporto stato – regioni.

Sull’accelerazione del processo legislativo Gori mostra come i tempi siano cambiati rispetto al 1948, anno dell’entrata in vigore della nostra costituzione, e di come già settant’anni fa “padri costituenti quali Pietro Calamandrei e Luigi Sturzo furono molto critici sulla scelta di creare un bicameralismo perfetto”.

Per il sindaco di Bergamo le leggi devono essere promulgate più velocemente per poter rispondere alle esigenze di un cittadino come fa un sindaco e su questo pone un esempio : “Pensate se ci fossero due consigli comunali come sono le camere. Quanto ci si impiegherebbe per fare una delibera? Un tempo pari a due o tre volte rispetto a quello che occorre oggi”.

I tempi per promulgare una legge attualmente sono lunghi, con una media di 504 giorni per legge e con tempi record come nel caso della legge sulla corruzione nel settore pubblico, in cui ci sono voluti 800 giorni prima del via libera. Il sindaco elogia la proposta del procedimento a data certa, per cui una legge, su richiesta del governo, debba esser discussa e votata dalla Camera dei deputati entro 70 giorni, con precedenza su tutte le altre.

Secondo Gori questo permetterebbe di eliminare l’abuso governativo nell’uso dei decreti legge, tale da portare al ” 46 % delle leggi votate in parlamento quest’anno sono conversioni di decreti legge, di cui il 60 % si è ottenuto in seguito ad un voto di fiducia”. Critico su questo punto Gandolfini. che afferma come l’ultima formalizzazione di governo (azione di cui fa parte anche la calendarizzazione delle leggi) risalga al 1925, sotto il regime fascista. Inoltre è scettico sulla lentezza del processo legislativo in quanto secondo alcuni studi “il numero di leggi prodotte in Italia dalla nascita della repubblica ad oggi è stimato fra le 160000 e le 300000 leggi, dato contraddittorio sulla lentezza di produzioni delle leggi, semmai in grado di dimostrare come ci sia un numero di leggi eccessivo, di cui una gran parte inutili”. Gandolfini aggiunge come “soltanto il 3 % delle leggi create fra il 1990 ed il 2013 sono state sottoposte ad un fenomeno di rimbalzo fra le due camere” e di come “sia meglio metterci 100 giorni in più per fare una legge importante che fare una legge fatta male”.

Altro tema particolarmente sentito è quello sul pericolo di una deviazione autoritaria in caso di approvazione della riforma , legato alla riforma del senato e all’ eliminazione delle province. Sul senato Gandolfini va all’attacco, denunciando la mancanza di una legge chiara sulla scelta dei futuri senatori e sulla rappresentanza delle minoranze, in quanto “la riforma parla di una scelta secondo il principio di conformità con la scelta degli elettori, ma ciò rischia di portare all’elezioni di consiglieri scelti dalla segreteria del partito di maggioranza nella regione, di cui il capogruppo è già nella lista prima delle elezioni. Questa scelta rischierebbe di violare l’articolo 1 della costituzione, in cui si dice che la sovranità appartiene al popolo.”

Gori replica sostenendo che “ sono stati i cittadini a non voler più le preferenze di senatori e deputati, tant’è che l’attuale legge elettorale prevede liste di nominati, non di persone scelte dai cittadini. Sulla scelta dei senatori si sta discutendo per una legge che rettificherebbe tale proposta, ma nel caso non si riuscirebbe a produrne una entro le prossime elezioni, si voterebbe sempre seguendo tale principio.”

Tema particolarmente caldo è stato anche quello della modifica del titolo V della Costituzione che definirebbe il rapporto fra stato e regioni, con l’aggiunta della scomparsa definitiva delle province. Da una parte abbiamo le critiche considerazioni di Gandolfini che sostiene come “con la riforma del rapporto stato – regioni, alle regioni andrebbero solo 15 delle competenze in gioco, in confronto allo stato a cui ne andrebbero 51, fra le quali politiche sociali, salute e turismo”.

Il presidente del comitato “Famiglie x il no” si è espresso anche sulla clausola di supremazia di legislazione statale, in cui dice come “ lo stato può scegliere di legiferare su principi di interesse nazionale, considerazione troppo vaga in quanto l’interesse nazionale può essere tutto o niente. Non sappiamo chi ci governerà in futuro, per cui dipenderà da lui cosa sia l’interesse nazionale. Ai tempi – riferendosi al regime fascista – l’interesse nazionale era la conquista dell’impero”. Gandolfini si esprime anche sulla scomparsa delle province, tema su cui sostiene come la disintermediazione faccia male ai cittadini, impossibilitati a dialogare sulle proprie esigenze con il centro a causa di una mancanza dei intermediatori. Dura la risposta di Gori su questo punto : “Con questa riforma non ci sarà una disintermediazione poiché si rafforzeranno i poteri dei comuni e dei sindaci di essi, da sempre vicini agli interessi dei cittadini. Le province verranno sostituite da un nuovo ente chiamato “area vasta”, che comprende ancora una volta i territori sono quelli appartenuti alle vecchie provincie, con la sola differenza che i consiglieri verranno eletti dai sindaci e dai consiglieri comunali.” Gori si esprime pure sulle diatriba delle competenze appartenute a stato e regioni, sostenendo che con questa riforma si possano eliminare gran parte dei contenziosi che si sono prodotti negli ultimi quindici anni, quindi da quando era già stato in precedenza riformato il titolo V.

I due rappresentanti concludono con un appello ai cittadini, chiedendo entrambi alla popolazione di partecipare al voto responsabilmente e solo dopo aver letto attentamente la riforma, con Gandolfini che inneggia alla prudenza, mentre Gori si concentra sull’impossibilità di creare una riforma in tempi brevi, chiedendo quindi di votare a favore di questa, nonostante non sia perfetta.

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