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La testimonianza

Attentati in Thailandia, dove la guerra convive con il turismo

Pubblichiamo la testimonianza del giornalista bergamasco Francesco Alleva direttamente dalla Thailandia. Paese alle prese con una delicata situazione politica e una terribile ondata di attentati contro l'establishment militare-monarchico e l'industria del turismo.

“Una questione di politica interna”. Quando poco meno di due settimane fa sono esplose sei bombe in luoghi diversi della Thailandia meridionale, provocando alcune vittime e feriti, la notizia ha avuto eco e risonanza mondiali. Il più profondo sud del Paese, quello al confine con Myanmar e la Malesia non è nuovo a cose di questo genere e chi conosce bene la situazione thailandese non può essere sorpreso: negli ultimi 10 anni sono state oltre 6500 le persone morte in questa zona del Paese, un’area in cui governo di Bangkok e gli insorti malay di religione musulmana (Mara Patani, il nome dell’organizzazione dietro la quale si raggruppano 6 fazioni di separatisti diverse) si fronteggiano in modo brutale e senza grande diplomazia. “Una questione di politica interna”, continuano a dire le autorità thailandesi. Lo hanno ribadito anche il 12 agosto, quando bollarono come “sabotaggio” e non come terrorismo l’esplosione di bombe in mezzo paese. Definirla una questione interna fa sì che Bangkok possa mantenere la totale potestà sulla questione meridionale senza che vi siano coinvolte organizzazioni intergovernative o altre nazioni, evitando così di dover accettare compromessi scomodi.

Dire che per la prima volta il conflitto sia arrivato nei luoghi del turismo rivelerebbe un problema di memoria, visto che anche l’internazionale e frequentatissima Ko Samui così come la capitale Bangkok lo scorso anno hanno avuto la loro dose di esplosivi. Certo è che il governo, incalzato anche dai media locali, si è preoccupato del riverbero che questi attacchi potrebbero avere sul turismo, uno dei settori trainanti del Paese, visto che ogni anno 33milioni di persone vengono a godere degli splendidi panorami e spiagge di questo meraviglioso Paese.

Hua Hin, dove sono morte due persone e altre 24 sono rimaste ferite, è lo specchio di questa situazione: le spiagge del re, colpite dalle bombe esplose il giorno prima del compleanno della regina (data che in Thailandia è festa nazionale e festa della mamma…) e subito dopo il voto al referendum che conferisce più potere ai militari, sono incredibilmente sotto frequentate in queste settimane. Sono stati gli stessi thailandesi a non volerci andare: Hua Hin è a meno di 200 kilometri di chilometri da Bangkok ed è uno dei luoghi preferiti dagli abitanti della capitale per una puntata al mare. Vi sono state cancellazioni tanto che due giorni fa gli operatori turistici e gli abitanti della cittadina si sono riversati nelle strade e hanno praticamente ripulito tutto quello che gli è capitato a tiro: un modo per tirare a lucido la città, ma anche una dimostrazione, secondo il loro punto di vista, della sicurezza del luogo. Bordi delle strade ripuliti, angoli ciechi illuminati, vasi di piante svuotati e ripuliti: un’operazione quasi ingenua e che fa sorridere, alla quale si accompagneranno gli eventi di ogni genere previsti nei prossimi giorni nelle strade, tra danze tradizionali, musica, muay thai e tanto altro.

Quel che fa riflettere è che sulle strade dei principali luoghi di frequentazione internazionale del sud tutto questo si sente poco. Migliaia di turisti provenienti da tutto il mondo stanno affollando in questo momento le isole di Ko Samui, Ko Phangan e Ko Tao, quelle che in questo momento dell’anno non risentono dei monsoni (che invece si fanno più sentire a Phuket e Ko Phi Phi, l’isola resa celebre dal film ‘The Beach’ con Leonardo di Caprio, giusto per capirsi). Migliaia di persone che viaggiano tranquillamente per tutto il sud del Paese, che non hanno cancellato le loro prenotazioni dopo gli attacchi e che continuano a transitare da Surat Thani, uno dei centri colpiti dalle bombe di qualche giorno fa, senza grosse preoccupazioni e senza conoscere la situazione di conflitto all’interno del Paese.

L’atmosfera che si respira qui è quella di sempre, quella che fa sì che la Thailandia sia considerata universalmente un luogo sicuro, perfetto per divertirsi, rilassarsi e spendere poco. I turisti qui sono e saranno protetti il più possibile, dal governo come dagli abitanti locali, tenuti lontani dal conflitto del sud del Paese: sono una risorsa troppo grande e ghiotta per le famiglie del Paese, una nazione in cui gli stipendi medi mensili si aggirano tra i 300 e i 400 euro, in cui il turismo dà lavoro a oltre 5 milioni di persone, il 14% degli occupati, e consente introiti per 72 miliardi di dollari l’anno.

Secondo una stima dell’ente del turismo thailandese, saranno quasi 400mila i turisti in meno per l’effetto degli attacchi di agosto, 170 milioni di dollari in fumo per l’economia locale. La Polizia ha intensificato la propria presenza nelle strade, con posti di controllo da Bangkok sulle strade verso il Sud, agenti sorridenti salutano partenze e arrivi dei traghetti da e per le isole del golfo; per il resto tutto sembra essere come al solito, le preoccupazioni dei visitatori sono ancora il luogo giusto per fare immersioni, quale ristorante possa essere il migliore per la serata, quale spiaggia sia la più riparata dalla presenza delle cubo meduse, che continuano a spaventare più degli insorti del sud. Viaggiare continua ad essere un piacere in questa terra, il mare è sempre perfetto e i 6500 morti degli ultimi dieci anni rappresentano semplicemente una statistica sconosciuta a più del 90% di coloro che scelgono la Thailandia come meta delle loro vacanze.

Proprio oggi un’altra bomba è esplosa a Pattani, centro costiero nella parte più meridionale del Paese: un ordigno rudimentale, fatto esplodere davanti a un hotel (sono pochi i turisti che raggiungono questa cittadina, capoluogo di una provincia sconsigliata anche dalle guide turistiche) e che causato un morto e una trentina di feriti. La notizia è stata ripresa da qualche organo d’informazione occidentale e c’è chi ha ironizzato, dicendo che per la prima volta l’Occidente ha riportato un episodio che di solito viene accolto con indifferenza dai media internazionali.
Quel che è certo è che il conflitto meridionale non sta scemando e che la tensione, soprattutto finché il tutto verrà liquidato come una fastidiosa questione interna e il governo continuerà a credere che gli insorti debbano semplicemente essere spazzati via, sarà destinata a crescere. Non è difficile capire dove gli insorti andranno a colpire, quando si deciderà di fare più male al Paese: nei resort che portano 72 miliardi di dollari l’anno a questa nazione.

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