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L'intervista

Promosso da Armani, lo stilista Vanotti: “Sogno un mio monomarca in piazza della Libertà”

Lucio Vanotti, 41 anni, originario di Berbenno è ormai una firma nel campo della moda. Il suo sogno: “Un negozio monomarca in Piazza della Libertà a Bergamo”.

“Ormai da diversi anni sostengo i giovani talenti che mi sembrano più promettenti nel panorama della moda italiana e internazionale. Il loro entusiasmo, la dedizione, e la creatività declinata in modo sempre personale e sentita continuano ad appassionarmi. A Lucio Vanotti, il designer che ho scelto per questa stagione, auguro un futuro brillante, ricco di soddisfazioni”. Le parole sono di Giorgio Armani che ha promosso a pieni voti il talento di Lucio Vanotti invitandolo a sfilare all’Armani Teatro di Milano. Era il gennaio scorso. In pieno agosto, nel suo atelier milanese Vanotti sta già pensando alle prossime collezioni. “Anche se questo è un periodo di calma rispetto ad altri mesi” confida lo stilista 41enne bergamasco. Originario di Berbenno dopo il liceo artistico Giacomo e Pio Manzù in via Tasso a Bergamo, a 19 anni decide di iscriversi all’Istituto Marangoni di Milano. “Anche se ero tentato da architettura, una facoltà che mi ha sempre interessato ed è un settore dell’arte che mi affascina tutt’ora” ammette Vanotti, che per le sue linee così pulite ed essenziali può essere considerato il Giovan Battista Moroni della moda.

Perché scelse la moda?
“Perché è più stimolante, veloce, immediata. Anche se per l’architettura riservo sempre molta attenzione”.

In che modo?
“Quando posso mi sfogo. Magari quando c’è da allestire uno spazio per una sfilata, un negozio. Credo che l’estetica non possa essere rinchiusa in un solo ambito. C’è un continuo dialogo. Un bel vestito non può stare esposto in un brutto negozio, non sarebbe credibile. Un abito che sa far sognare ha bisogno di un involucro che stia alla pari, per questo credo che la moda e l’architettura vadano a bracetto”.

Lucio Vanotti, collezione Donna  autunno inverno 2016

Dell’architettura di Bergamo che cosa la affascina di più?
“La parte che mi piace di più sono le costruzioni in montagna, con un’estetica semplice, molto lineare. Questa estetica tipica bergamasca molto bella, non eccessiva. Lo so che non si sposa facilmente con il mondo moda, ma è una parte che mi piace di Bergamo è questa è delle sue origini. Certo, poi ci sono anche i suoi palazzi aristocratici sparsi per la città, ma credo che la vera anima di Bergamo che porto con me, per certi versi, sia più legata alle valli”.

La prima metà della sua vita l’ha trascorsa a Bergamo, gli ultimi vent’anni a Milano dove ora vive e lavora. Che cosa le manca di Bergamo?
“Vengo spesso a Bergamo, almeno una volta al mese torno dai miei genitori a Berbenno. D’estate è un sogno per l’aria fresca che si respira. Di Bergamo mi manca la concretezza. I bergamaschi hanno sempre questo atteggiamento umile, anche se poi fanno i fatti”.

Vanotti

Mentre di Milano che cosa ama?
“A Milano c’è tutta Italia, c’è una grande tradizione a livello architettonico che mi affascina sempre e mi ispira. E poi è una città internazionale, anche se piccola rispetto ad altre metropoli, ha tutto ciò che una grande città europea può offrire. Oltre ad essere una delle capitali della moda”.

A proposito di moda, la crisi ha colpito anche questo settore?
“La moda è una grande risorsa economica per l’Italia. Il settore moda è molto complicato. Ci vuole un’importante organizzazione imprenditoriale perché gioca molto all’anticipo. Si devono anticipare capitali sulle collezioni future, è stato difficile ma ora le banche si sono aperte un po’ e devono ancora aiutarci. In fondo il settore moda si è rivelato un buon rifugio per molti investitori che hanno abbandonato l’edilizia e si sono concentrati su di noi”.

Che cosa rende difficile fare impresa in Italia nel settore della moda?
“La mancanza di fiducia. C’è la creatività, un’artigianalità unica, ma sono assenti completamente gli aiuti nei crediti. Quando tutta la moda si basa su questo anticipo dei tempi delle collezioni. Un po’ una scommessa che gli stilisti e le imprese non possono affrontare da soli”.

Produce tutto in Italia?
“Sì, tutto in Italia. Le mie linee sono totalmente Made in Italy. Per l’ultima collezione estiva mi sono avvalso di un laboratorio di San Pellegrino, per dei dettagli con un altro di Vaprio d’Adda, poi ci sono altri nelle Marche. Anche se diciamo che scelgo molto i laboratori in Lombardia per una questione di comodità. Mi piace confrontarmi, seguire le lavorazioni e curare i dettagli di persona”.
C’è la consacrazione che le ha riservato Giorgio Armani e le sue collezioni hanno riscosso successo di pubblico in Italia e all’estero.
“Sì, ho molti riscontri nelle vendite in Italia, all’estero andiamo molto bene in Giappone, Cina e Corea”.

Vanotti

Il settore della moda sta un po’ tramontando, dopo i fasti degli anni Ottanta e Novanta?
“È un settore che ha molta offerta, siamo in tanti. Ma è un settore che funziona. Ciò che conta sono le buone idee e la qualità. Non credo molto ai fasti, credo nelle intuizioni ben sviluppate. Chi acquista vuole un capo con un’anima. E questo si percepisce”.

Ci sono troppe collezioni? Hanno ancora un senso i calendari con le collezioni, quando grandi brand si affermano ignorando le passerelle?
“È un dibattito interessante visto che quando noi proponiamo la stagione primavera/estate dall’altra parte del mondo è tutt’altra stagione. Forse si dovrebbe fare una collezione unica, anche manterrei un minimo di stagionalità”.

Vanotti

Lucio Vanotti guarda al mondo, ma riserva un desiderio per Bergamo?
“Oh sì, mi piacerebbe avere un negozio monomarca in piazza della Libertà a Bergamo”.

Perché proprio piazza della Libertà?
“Premetto che mi piacciono tutte le correnti artistiche, la mia predilezioni va però alla tradizione più classica, al razionalismo italiano che fa più parte anche della realtà lombarda che sento più mia. Questa spartanità, questa semplicità delle linee scarne, la funzionalità e l’utilità degli spazio credo si associno bene alla mia creatività”.

E per lei che sogno riserva?
“Il sogno di continuare a fare il mio lavoro in modo libero e sano. Sogno che la parte creativa, che è poi la parte più divertente della mia professione, coincida con la risposta reale del mercato, che nasca qualcosa di condiviso. Insomma, posso dirlo? Sogno di poter continuare così come ho fatto finora”.

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