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Caso yara

Bossetti impassibile anche di fronte alla condanna all’ergastolo: “Non è giusto” fotogallery video

La prima parte del processo si chiude con la condanna del carcere a vita per l'imputato, per i giudici è stato lui a uccidere la tredicenne di Brembate. In lacrime la moglie e la sorella

Come lo era stato per quasi tutto il processo che lo vedeva imputato per il delitto di Yara Gambirasio, anche durante la lettura della sentenza di condanna all’ergastolo Massimo Bossetti è stato freddo, impassibile, distaccato. Ha solo detto ai suoi avvocati: “Non è giusto, è una mazzata, avevo fiducia nella giustizia”.

Il verdetto della Corte d’Assise presieduta dal giudice Antonella Bertoja è arrivato alle 20.37 di venerdì primo luglio, dopo oltre dieci ore di camera di consiglio.

Prima aveva parlato lo stesso Bossetti, che aveva cercato di convincere giudici e giurati della propria innocenza: “Sarò anche uno stupido, un ignorantone, un cretino ma non sono un assassino. Questo sia chiaro a tutti. Se mi condannerete sarà il più grande errore giudiziario di questo seconolo”, le parole del carpentiere di Mapello.

Che aveva poi parlato del dna, la prova che l’ha portato in carcere il 16 giugno 2014: “Sarei un pazzo a chiedervi di rifare il test se fossi colpevole. Anche perché se le analisi risultassero positive vi toglierebbero ogni dubbio sulle mie responsabilità. Quel Dna non è mio, non è mio, e vi supplico e vi imploro di fare questa verifica perché il risultato farebbe chiarezza su di me”.

Parole che non sono però servite a salvare Bossetti dall’ergastolo per l’omicidio della ragazzina. I giudici hanno inoltre stabilito che Bossetti non avrà più la patria potestà sui suoi tre figli, ancora minorenni, e che dovrà risarcire i genitori di Yara con 400mila euro a testa e 150mila ciascuno i loro tre figli.

Fuori dall’aula le due donne della sua vita che hanno voluto essere presenti in aula, la moglie, Marita Comi, e la sorella gemella, Laura Letizia, si sono abbracciate a lungo, il volto solcato di lacrime. Per i giudici, quindi, è stato è stato il muratore di Mapello a prendere Yara il 26 novembre del 2010 e a ucciderla, nel campo di Chignolo d’Isola dove il corpo della tredicenne di Brembate di Sopra sarà trovato tre mesi dopo. E lo ha fatto con quella crudeltà che costituisce l’aggravante che ha comportato il carcere a vita, pur senza quei sei mesi di isolamento chiesti dall’accusa.

Bossetti è stato invece assolto dall’accusa di calunnia “perché il fatto non sussiste” ai danni di un collega, Massimo Maggioni, verso il quale, secondo l’accusa, avrebbe cercato di indirizzare le indagini. I giudici non hanno applicato l’isolamento diurno per sei mesi, unitamente all’ergastolo, come chiesto ancora dal pubblico ministero Letizia Ruggeri.

 

 

 

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