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La scomparsa

Muore a 87 anni il partigiano “Fuì” Giuseppe Giupponi

Giovanissimo partigiano, è stato anche maestro elementare, segretario provinciale socialista, consigliere comunale a San Giovanni Bianco per 40 anni, Presidente dell'assemblea della comunità Montana della Valle Brembana, consigliere provinciale prima all'opposizione poi assessore alla pubblica istruzione dal 1990 al 1995.

E’ morto nella notte a San Giovanni Bianco il partigiano Giuseppe Giupponi, classe 1929, conosciuto come “Fuì”.

Giovanissimo partigiano, è stato anche maestro elementare, segretario provinciale socialista, consigliere comunale a San Giovanni Bianco per 40 anni, Presidente dell’assemblea della comunità Montana della Valle Brembana, consigliere provinciale prima all’opposizione poi assessore alla pubblica istruzione dal 1990 al 1995. Ha pubblicato tanti libri sulla storia della resistenza, e fino all’ultimo è andato nelle scuole per raccontare, discutere e tramandare i valori della resistenza ai giovani”.

“Fino all’ultimo testimone instancabile della memoria , uomo della Resistenza e antifascismo protagonista della nostra libertà e istituzioni democratiche”: così lo ha ricordato il deputato del PD Elena Carnevali in un post su Facebook.

Riportiamo qui di seguito un suo intervento in occasione dell’annuale commemorazione organizzata dal comitato provinciale bergamasco dell’Anpi, Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, in omaggio dei partigiani della Brigata Giustizia e Libertà “XXIV Maggio”, uccisi dai fascisti durante lo svolgimento di alcuni rastrellamenti in Valbrembana. “Ero il più piccolo membro della Brigata Giustizia e Libertà XXIV Maggio. All’epoca ero un giovinetto ed ero soprannominato “Fuì”. Ricordo molto bene quei tragici anni: lottare contro al regime non era facile. Noi partigiani avevamo a disposizione poche armi, la cui potenza non era nemmeno lontanamente paragonabile a quella degli autoblindo, dei mortai e delle mitragliatrici dei nazifascisti. Alcuni ricordano i partigiani come quelli che scappavano, ma spesso non si poteva fare diversamente: come facevamo a combattere avendo solamente qualche colpo di fucile? L’unico modo era colpire e fuggire, non si poteva fare altrimenti. Inizialmente non era semplice organizzarsi: la lotta partigiana era diversa dalle altre guerre e l’abbiamo sperimentata per primi sulla nostra pelle. La nostra compagna era la paura: vivevamo con il terrore di essere catturati e torturati e, nel caso fossimo stati arrestati, di non sapere che cosa dire ai fascisti o di tradire i propri compagni. Man mano, poi, siamo riusciti a organizzarci meglio e a effettuare attacchi più efficaci: le formazioni partigiane nascevano spontaneamente dando vita a gruppi che poi diventavano bande e infine brigate, dandosi una struttura operativa. Un ruolo importante, insieme ai partigiani, l’hanno avuto le comunità e le persone che li aiutavano, li coprivano e li ospitavano e le donne che facevano da staffetta. La liberazione dell’Italia ci lascia una grande eredità, la libertà, che è come l’aria: è fondamentale per vivere ma ce ne si rende conto solo quando manca. In un periodo storico difficile, come quello che stiamo vivendo attualmente, è necessario mantenere alta la guardia: dinanzi a fatti come quelli di Rovetta, di Seriate o di diverse parti d’Italia e d’Europa, vanno ribaditi gli ideali della Resistenza, a cominciare dall’opposizione al regime liberticida e razzista. Spesso si dice che Benito Mussolini ha fatto belle cose, ma ci si dimentica che ha dichiarato la guerra a 40 stati e che ha varato le leggi razziali, divenendo corresponsabile della morte di 6 milioni di ebrei e di vittime innocenti”.

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