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Uno sguardo dall'interno

Pietro, italo-inglese dopo il Brexit: “Un incubo, è come se mi avessero rifiutato”

Pietro Servini, 27enne originario di Bassano del Grappa ma che vive a Londra da sempre e ha votato al referendum, commenta per Bergamonews.it l’uscita dall’Europa della Gran Bretagna.

Originario di Bassano del Grappa ma da sempre a Londra, Pietro Servini è uno studente 27enne: in Inghilterra sta facendo un dottorato in matematica aerodinamica, materia per la quale l’Unione Europea investe 100 milioni di sterline solo in Gran Bretagna.

Giovedì 23 giugno anche lui era chiamato alle urne per votare il referendum che chiedeva ai britannici se volessero rimanere nell’Unione Europea o se invece volessero uscirne: nella lunga notte elettorale a spuntarla è stato il “leave”, spiazzando l’Europa e il mondo intero.

Venerdì mattina mi sono svegliato in un mondo diverso. Un mondo che era diventato molto più piccolo. Più piccolo in ciò che poteva realizzare; più piccolo di mentalità. Mi sono svegliato in un incubo. In lutto. Una parte di me non c’era più. Sono andato in autobus in ufficio, come sempre, ed ero seduto dietro a una famiglia francese e a due giovani, venuti dall’Italia in cerca di un sogno. Avevo lacrime agli occhi.

Sono nato in Italia nel 1989, l’anno in cui il muro di Berlino crollò. L’anno in cui le due metà della Germania si riunirono e l’Europa, dopo decenni di guerra e odio, iniziò a guarire. Per i giovani, da quel momento tutto sembrò possibile. Ho comunque vissuto tutta la mia vita a Londra, figlio di madre italiana che venne all’età di 21 anni per imparare l’inglese. Incontrò mio padre, anche lui discendente di emigrati italiani venuti in Inghilterra più di cent’anni fa.

Come matematico, credo che la campagna per il referendum che abbiamo avuto qua in Bretagna, finita con il 52% dei votanti favorevoli all’uscita dalla UE, sia stata una sconfitta per la scienza. Ci sono molte ragioni per le quali ha prevalso il ‘Leave’, e molti di coloro che hanno votato in quella direzione avevano motivi validi per i quali non volevano più far parte dell’UE. Rispetto la loro opinione. Ciò che mi fa arrabbiare è com’è stata condotta la campagna per il Leave e il ruolo della stampa nella propaganda.

A mio avviso i fatti sono stati lasciati da parte e la gente è stata intenzionalmente sviata, specialmente riguardo i temi dell’immigrazione e del denaro che la Gran Breatagna manda all’UE. Durante la campagna, Michael Gove, uno dei più appassionati sostenitori del Brexit, ha detto che la gente in questo paese ne ha avuto abbastanza degli esperti. Questo mi preoccupa. Il fatto che sembra riflettere una tendenza generale nel mondo di oggi mi preoccupa ancora di più. Parafrasando David Cameron, se vuoi costruire un ponte, non puoi ignorare quello che ti dice l’ingegnere solo perché credi di saperne di più.

In effetti, questo referendum non avrebbe mai dovuto essere indetto; ma poiché c’è stato, bisognava avere una discussione aperta e onesta, basata sui fatti. La campagna ‘Leave’, e l’atteggiamento di diversi giornali, è stato tale che questo non è potuto accadere.

Non voglio dilungarmi su quello che penso potrà essere il futuro per noi e l’Europa, o perché ci sia stato il risultato che abbiamo avuto: per la prima questione, si può solo indovinare; per la seconda, credo che i motivi siano complessi e non ritengo di essere abbastanza informato per commentare.

Vorrei menzionare però il messaggio anti-immigrazione che (direttamente o indirettamente) la campagna ‘Leave’ ha comunicato, e ciò che ho provato quando ha vinto. Londra è una bellissima città multiculturale, piena di immigrati, e ha votato per rimanere nella UE. Così pure come la maggior parte delle altre città. Venerdì ho giocato a calcio e sono uscito a cena in un ristorante con due austriaci, un cileno, un cinese, sei italiani, un lituano, un messicano, un tedesco, due turchi, e un inglese. Questo non sarebbe stato possibile qualche decina di anni fa: mi sento fortunato a vivere in un tempo in cui lo sia. Ripeto, non so cosa ci aspetterà in futuro, ma io continuerò ad accogliere tutti a braccia aperte. E credo Londra farà lo stesso.

Quando mi sono svegliato venerdì mattina, era come se più di una persona su due in Inghilterra avesse rifiutato me, mia mamma, il mio passato. Non sapevo più quale fosse il mio posto. Mi sembrava ci fossimo allontanati dal mondo in cui voglio vivere: un mondo in cui c’è rispetto per altre culture, altri credo, e altre nazioni; dove c’è uno scambio libero e aperto di idee che ci permetterà di risolvere i tanti problemi che la mia generazione dovrà affrontare; un mondo non egocentrico, dove ci rendiamo conto che siamo tutti interconnessi e che possiamo solo diventare più forti se ci aiutiamo l’un l’altro.

Mi sembrava che avessimo distrutto quella speranza, quella gioia e quello spirito di unità che si erano creati quando il muro di Berlino fu distrutto l’anno in cui sono nato, quando tutto sembrò possibile”.

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