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Ricordate gli Everything But The Girl? Ben Watt torna con un gioiellino

"Fever Dream" è il disco da solista della metà degli Ebtg, duo di successo negli anni Ottanta: se non è capolavoro poco ci manca, anche se venderà pochissimo, essendo totalmente out of time, commenta il nostro Brother Giober.

Giudizio:

* era meglio risparmiare i soldi ed andare al cinema

** se non ho proprio altro da ascoltare…

*** in fin dei conti, poteva essere peggio

**** da tempo non sentivo niente del genere

***** aiuto! Non mi esce più dalla testa;

ARTISTA: Ben Watt

TITOLO: Fever Dream

GIUDIZIO: ****

Beh lo ammetto: a volte ho recensito positivamente dischi che poi non ho più ascoltato, se non occasionalmente. Capita…perché la musica è fatta di emozioni, di momenti che poi il tempo sbiadisce. Ed è possibile anche che in alcuni casi, sulle ali dell’entusiasmo, il giudizio sia stato troppo positivo. Invece, è banale scriverlo, un disco per essere considerato bello, ma proprio bello, deve resistere ai giorni, ai mesi, all’avvicendarsi dei periodi.

Prima di recensire questo lavoro l’ho consumato, ascoltandolo moltissimo negli ultimi due mesi al termine dei quali il mio giudizio resta entusiasta. Se non è capolavoro poco ci manca, anche se venderà pochissimo, essendo totalmente out of time.

Per i più giovani Ben Watt è stato negli anni ’80 la metà degli Everything But The Girl, un duo inglese che

ha avuto un certo successo soprattutto con un brano, Missing. Oltre a Ben Watt che si occupava di tutta la parte musicale, c’era Tracey Thorn, cantante, vocalmente particolarmente dotata, con un timbro molto caratteristico, pieno di nostalgia.

Gli Everything But The Girl, incisero il loro primo disco nel 1984, al tramonto del punk e in pieno movimento New Wave, imponendo al mercato la loro musicalità fortemente influenzata dai suoni della bossa nova, del jazz di più immediata percezione condividendo lo stile di un movimento musicale che aveva negli Style Council di Paul Weller e di Mick Talbot i principali ispiratori.

Eden fu una sorta di pugno allo stomaco in quei tempi, ma anche un lavoro di straordinaria espressività. Alcune canzoni come Each and Everyone o Another Bridge ancor oggi suonano magnificamente a non appaiono affatto superate.

Dopo Eden, gli EBTG pubblicarono altri lavori, man mano di minor impatto e dalla metà degli anni ’90 di fatto del duo se ne sono perse le tracce. Rimangono, degli anni successivi, alcune prove solistiche della Thorn peraltro non di grande livello.

Un po’ a sorpresa esce questo Fever Dream attribuito al solo Ben Watt che, come da usanza, si occupa di quasi tutto.

All’acquisto mi ha indotto una recensione sul Busca che gli dava tre stelle e mezzo, un voto molto alto considerato che non è questa la musica che sul mensile musicale di Carù va per la maggiore. Fatto sta che stimolato dall’articolo scaricato subito Fever Dream da ITunes

Il lavoro ha poco a che vedere con la precedente opera degli EbtG, di jazz o ritmi sudamericani vi è rimasto poco, se non pochissimo. Trattasi invece di un un’opera che si ispira alle esperienze cantautorali anglosassoni più tradizionali, riferendosi in molte sue tracce alla discografia di giganti come Neil Young (soprattutto) ma anche James Taylor, Joni Mitchell, Tim Buckley.

È un album di canzoni, di singoli episodi che vivono di luce propria. Neanche una traccia da buttare, alcune di straordinaria bellezza e intensità. La forma tipica è quella della ballata, le tinte sono pastello , i suoni elettrici ma pacati. Qualche richiamo alla bossa nova, al jazz, ma per lo più occasionale.

ben watt

L’Inizio è affidato a Gradually, una ballata elettrica che per certi versi ricorda il Neil Young di Zuma, o il David Crosby del primo album solista. Le chitarre in primo piano, l’andamento pacato e la voce che assume colore là dove la melodia incide maggiormente. La canzone ha una lunga coda strumentale prima dell’epilogo affidato ancora alla voce di Ben Watt. Una canzone di straordinaria bellezza degno prologo di un lavoro tutto, o quasi, del medesimo livello.

Più leggera l’atmosfera del secondo brano che è quello che dà il titolo all’album. Fever Dream per certi versi ha suoni più americani, più da FM, con chitarre e congas in primo piano e chiari riferimenti a Steely Dan, Michael McDonald, e tutto un certo easy listening di gran classe che ha successo soprattutto al di là dell’oceano ma che, quando fatto a questi livelli, non può non piacere anche da queste parti.

Between two fires ha ritmo più spedito rispetto alle tracce precedenti e suoni ancora americani. Il piano in questo caso offre una solida base melodica ed è evidente qualche affinità sonora agli “aquilotti” più commerciali, quelli di One of These Nights tanto per intenderci.

Il piano che introduce Winter’s Eve mi pare quello di tante canzoni di Jackson Browne così come anche il modo di cantare ricorda molto da vicino il cantautore californiano. Il brano, manco a dirlo, coglie ancora nel segno e infonde un sentimento di nostalgia, lo stesso che le canzoni di “fratellino Jackson” mi provocavano da giovane .

Piano e percussioni introducono Women’s Company, ancora una ballata dalle tonalità pastello, che finisce in crescendo grazie alla presenza di una tastiera che fa tanto anni Settanta.

Forse il brano più vicino alle sonorità degli EBTG è Faces of my Friends, con un ritmo e un’atmosfera in generale esotica anche se il suono della chitarra è ben presente riconducendo il brano ai sentieri della canzone d’autore più classica. Belle comunque la melodia e le parti vocali.

Congas in primo piano e suoni di chitarra che ricordano Chris Rea, introducono Running with the Front Runners, un brano delicato di quelli che un tempo Michael Franks era solito regalare ai suoi fans: anche qui è tutto un sovrapporsi di colori, profumi, perfettamente amalgamati fra loro.

Diverso è il timbro musicale di Never Goes Away, tipica song “da meditazione” con irrinunciabile solo di chitarra, di quelli che inducono un po’ alla commozione senza tuttavia scadere nel patetico (anche se si salva solo per un pelo).

Più convenzionale (e forse un pizzico noiosa) Bricks and Wood fatta solo di voce e chitarra che precede la conclusiva New Year of Grace che ha suoni all’inizio medievali (ebbene si assomiglia ad alcune cose del primo Branduardi o, forse meglio, dei Traffic o dei Jethro Tull versione folk) ma che poi ha un suo sviluppo delicatissimo e del tutto riuscito. Una ballata da pelle d’oca che conclude un lavoro di bellezza assoluta e di cui vi consiglio assolutamente l’ascolto

Se non si vuole ascoltare tutto il disco: Gradually

Se non ti basta ascolta anche:

Jackson BrowneStanding in the Breach

EaglesOne of These Nights

Michael Franks Rendez Vous in Rio

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