“Quante volte vediamo gente tanto attaccata ai gatti e ai cani, e poi lasciano senza aiuto la fame del vicino e della vicina?”.
Nell’udienza giubilare di sabato 14 maggio Papa Francesco invita a tornare ai fondamenti della misericordia, cioè “riconoscere la dignità, soprattutto di chi è ferito; superare l’indifferenza indotta dalla schiavitù del benessere materiale; condividere la tristezza e operare in prima persona per cambiarla in gioia. Questa è la pietà, sentimento che non va confuso con quel pietismo piuttosto diffuso e non va confusa con la compassione per gli animali che vivono con noi”.
Altro che Papa ‘animalista’ o ‘ecologista’ o ‘verde’, come lo definiscono i media e come lo vorrebbero gli animalisti e gli ecologisti che amano più gli animali e/o la natura più delle persone. Basta leggere attentamente l’enciclica “Laudato si’ sulla cura della casa comune” (24 maggio 2015) per rendersi conto che la sua è un’’ecologia integrale’ che sa mettere al giusto posto le persone, gli animali, la natura. Ai credenti e alla Chiesa devono interessare le persone e, in particolare, gli uomini e le donne, i bambini e gli anziani che soffrono.
Infatti Bergoglio invita a scuotersi di dosso l’indifferenza verso gli altri. Tra le persone che seguivano Gesù – osserva – “ognuno esprimeva la sua fede in Gesù chiamandolo maestro, figlio di Davide e signore; intuivano che in lui c’era qualcosa di straordinario che li aiutava a uscire dalle condizioni di tristezza in cui si trovavano. Per Gesù provare pietà equivale a condividere la tristezza di chi incontra e a operare per cambiarla in gioia. Anche noi siamo chiamati a coltivare la pietà di fronte alla vita scuotendoci di dosso l’indifferenza che impedisce di riconoscere la sofferenza dei fratelli che ci circondano e liberandoci dalla schiavitù del benessere materiale”.
Come fa spesso, Bergoglio prende in prestito da Dante una terzina dalla preghiera di san Bernardo alla Vergine: “Dante Alighieri esprime il concetto di pietà nella preghiera al culmine del Paradiso: In te misericordia, in te pietate, in te magnificenza, in te s’aduna quantunque in creatura è di bontate!” (‘Divina Commedia’, capitolo 33, terzina 21).
Il 26 maggio 2015 in una lunga intervista al giornale argentino “La Voz del Pueblo” dice: “I peggiori mali sono povertà, corruzione, tratta delle persone. Posso confondermi con la statistica, ma quali sono gli aspetti per cui le persone spendono di più, dopo alimentazione, vestiti e medicine? Al quarto posto ci sono i cosmetici, al quinto gli animali di compagnia. Questo è grave. Amare gli animali è come programmare l’amore: io posso programmare la risposta amorevole di un cane o di una gattina e non necessito di alcuna esperienza di amore di reciprocità umana. Sto esagerando, non prendetemi alla lettera, però c’è da preoccuparsi”.
Il 2 giugno 2014 alla Messa mattutina a Santa Marta sono presenti una quindicina di coppie sposate da 25, 50 e 60 anni. “Fedele, perseverante, fecondo” sono le caratteristiche di un autentico matrimonio cristiano, e non quei matrimoni e quelle famiglie sterili per scelta, a favore “del benessere economico”. Il modello è l’amore di Cristo per la sua Chiesa: “La fedeltà è come una luce sul matrimonio. La fedeltà dell’amore sempre. La vita matrimoniale deve essere perseverante, perché al contrario l’amore non può andare avanti. La perseveranza nell’amore, nei momenti belli e nei momenti difficili, quando ci sono i problemi: i problemi con i figli, i problemi economici, i problemi qui, i problemi là. Ma l’amore persevera, va avanti, sempre cercando di risolvere le cose, per salvare la famiglia. Perseveranti: si alzano ogni mattina, l’uomo e la donna, e portano avanti la famiglia”.
Nel matrimonio talvolta la fecondità è messa alla prova: quando i figli non arrivano o sono ammalati. Mentre “ci sono cose che a Gesù non piacciono”, cioè i matrimoni sterili per scelta: “Quelli che non vogliono i figli, che vogliono rimanere senza fecondità. Questa cultura del benessere ci ha convinto: è meglio non avere i figli! È meglio! Così tu puoi andare a conoscere il mondo, in vacanza, puoi avere una villa in campagna, tu stai tranquillo. Ma è meglio, forse più comodo avere un cagnolino, due gatti, e l’amore va ai due gatti e al cagnolino. È vero o no questo? Lo avete visto voi? E alla fine questo matrimonio arriva alla vecchiaia in solitudine, con l’amarezza della cattiva solitudine”.
Soltanto nella seconda metà del XX secolo gli animali trovano una progressiva attenzione tra i pensatori. Secondo la concezione biblica dell’Antico Testamento sulla creazione gli animali sono creature insieme all’uomo al quale solo Dio assegna il “compito di dominare” (Genesi 1,28). L’innalzamento degli animali al ruolo di dei o di idoli era un fatto tipico delle culture che circondavano il mondo biblico, come la cultura egizia.
Nel Nuovo Testamento Gesù non era vegetariano e non era vegano ma consuma il banchetto pasquale che consiste nel capretto. Anche gli animali sono inclusi nel “gemito della creazione” di cui parla San Paolo nella lettera ai Romani (8, 22-23). Nel pensiero aristotelico e tomistico-scolastico gli uomini e gli animali sono “esseri viventi”. Singolare è San Francesco d’Assisi (1181 o 1182-1226) con il suo “Cantico delle creature, Canticum o laudes creatura rum”, una lode a Dio che si snoda come una sinfonia che coinvolge tutte le opere create e che diventa un inno alla vita. La svalutazione degli animali risale a Cartesio (1596-1650) che li considera come macchine incapaci di soffrire. Nel pensiero contemporaneo unanime è il consenso sul divieto di ogni tortura degli animali, sulla protezione degli animali, sul mantenimento delle specie, sulla salvaguardia della natura. Invece è fortemente contestata l’opinione dell’antropologo inglese Edward Burnett Tylor (1832-1917), secondo il quale anche gli animali hanno un’anima.
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