Prima gli immigrati, poi le trivelle, ora il lavoro. La «vitalità pastorale» di Papa Francesco contagia l’episcopato italiano, tradizionalmente cauto nelle dichiarazioni su temi socio-politici, al di là di quelli «canonici» come famiglia e vita, unioni civili e aborto.
Per la prima volta la Conferenza episcopale interviene sulla festa del Primo Maggio con il messaggio «Il lavoro: libertà e dignità dell’uomo in tempo di crisi economica e sociale».
Il testo, molto argomentato, segue il magistero di Francesco che, in materia di diritti dell’uomo, ha qualcosa da insegnare ai potenti della Terra.
«Il dato prevalente è che il lavoro in Italia manca»: per la gente, «dignità, diritti, salute finiscono in secondo piano» in una «crisi economica stabilmente severa» con una disoccupazione che tocca giovani, donne e ultracinquantenni e con «un cambiamento tecnologico» da «quarta rivoluzione industriale». Francesco è intervenuto ripetutamente: «La vocazione di un imprenditore è un nobile lavoro –scrive nell’«Evangelii gaudium» (2013) – sempre che si lasci interrogare da un significato più ampio della vita». E al Forum economico di Davos in Svizzera, aggiunge: «L’attività imprenditoriale ha la responsabilità di aiutare a superare la complessa crisi sociale e ambientale e di combattere la povertà».
Osservano i vescovi: il lavoro, che ci sia o meno, «tracima e invade le vite delle persone, appiattisce il senso dell’esistenza. Così chi non aderisce a questa logica viene scartato, rifiutato, espulso: intimoriti e atterriti da un mondo che non offre certezze, scivoliamo nel disinteresse per il destino dei fratelli, perdiamo la nostra umanità, diventiamo individui senza trascendenza e senza legami sociali».
Il Pontefice invita a riscoprire la «vocazione al lavoro, senso alto di un impegno che va oltre il risultato economico». I pastori invitano a «educare al lavoro umanizzante, uno spazio nel quale entriamo in relazione con Dio, con noi stessi, con i fratelli, con il creato. Questa riflessione è valida per tutte le persone che guardano in modo disilluso e stanco alla propria vita lavorativa ed è valida per i datori di lavoro che gestiscono imprese, laboratori, botteghe e uffici con criteri esclusivamente utilitaristici. Il lavoro deve essere espressione della dignità dell’uomo».
Compito della comunità cristiana è elaborare i percorsi educativi. Bisogna fare in modo che «scuola e lavoro si intreccino e interagiscano: i giovani devono poter fare esperienze professionali prima possibile, così da non trovarsi impreparati una volta terminati gli studi». Tra le buone riforme del Governo Renzi c’è «l’alternanza scuola-lavoro che rappresenta una leva fondamentale poiché permette a un numero sempre più ampio di giovani di capire quali sono le competenze e le capacità richieste dal mercato».
I vescovi insistono su un «cavallo di battaglia» molto caro al cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale: «L’Italia non può continuare a sprecare l’intelligenza, il talento e la creatività dei suoi giovani, che emigrano nella speranza di essere accolti altrove. Occorre creare spazi di sperimentazione, dove lasciare libera espressione alla creatività e all’intraprendenza». A metà degli anni Novanta il torinese don Mario Operti, direttore dell’Ufficio Cei per la pastorale sociale e del lavoro, inventò il «Progetto Policoro» per dare un lavoro ai giovani, specie al Sud: «È una prova reale e concreta delle possibilità che si schiudono ai nostri territori quando si mettono all’opera».
Un pensiero infine al Meridione, che «ha subìto un depauperamento economico e sociale che lo ha trasformato in una seconda Italia povera e sofferente. Negli ultimi dieci anni hanno abbandonato il Sud oltre 700 mila persone: giovani, laureati, studenti, imprenditori, quasi sempre a malincuore, hanno lasciato la propria terra con l’amarezza di non poter contribuire alla sua rinascita». Ma «senza un Meridione sottratto alla povertà e alla dittatura della criminalità organizzata non può esserci un Centro-Nord prospero. Non è un caso che le mafie abbiamo spostato gli affari più redditizi al Nord, dove la ricchezza da accaparrare è maggiore». Al problema del Sud l’episcopato ha dedicato tre corposi documenti: «Lettera collettiva dell’episcopato meridionale» (25 gennaio 1948); «Sviluppo nella solidarietà. Chiesa italiana e Mezzogiorno» (18 ottobre 1989); «Per un Paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno» (21 febbraio 2010).
Il messaggio per il Primo Maggio elenca le misure da mettere in campo: «Prevedere uno strumento di contrasto alla povertà che supporti le persone che hanno perso il lavoro, soprattutto gli adulti 40-60enni; incentivare le forme di scuola-lavoro; dare spazio all’innovazione e alla creatività; liberare la fantasia e le capacità dei giovani e di tutte le persone con buone idee».
Il documento è stato redatto dalla Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace composta, tra gli altri, dal torinese mons. Marco Arnolfo, arcivescovo di Vercelli, e presieduta da mons. Filippo Santoro, membro di Comunione e Liberazione, missionario «fidei donum» in Brasile, vescovo ausiliare di Rio de Janeiro e poi vescovo di Petropolis e dal 2012 arcivescovo di Taranto, dove ha fatto sentire ripetutamente la sua voce nella vicenda del Centro siderurgico Italsider.
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