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Il patto dei mille

Investimenti bergamaschi in Ubi: Diocesi, Radici e Zanetti fan la parte del leone

Pubblicati i nomi che compongono il Patto dei Mille. Emerge la cartina di tornasole degli investimenti dei bergamaschi sulla banca che ha il cuore proprio a Bergamo: le maggiori quote che compongono il 2,27% vedono in prima linea la Diocesi di Bergamo, la famiglia Radici e la famiglia Zanetti.

Nella mattina di venerdì 26 febbraio Ubi Banca ha pubblicato i nomi del Patto dei Mille che riunisce 65 azionisti ed è capitanato da Emilio Zanetti. Un Patto che vede i più bei nomi dell’economia e dell’impresa orobica oltre a Confindustria Bergamo, Varese e Pavia. Sessantacinque azionisti per il 2,27% (20.500.412 azioni ordinarie) del capitale sociale di Ubi Banca.

Di questo 2,27% del capitale complessivo di Ubi Banca è così suddiviso: il 17,097% è della Quattro Luglio Srl (che vede in primo piano la famiglia di Angelo Radici), segue la Diocesi di Bergamo con il 3,032%, si aggiunge il 5,814 dell’Istituto Diocesano per il Sostentamento del clero e la San Narno (il nome è preso da uno dei primi vescovi di Bergamo) con il 2,851%.

Poi c’è la galassia della famiglia Zanetti con in testa Matteo e Paolo (figli di Emilio che detiene lo 0,891%) che hanno rispettivamente il 3,954% e il 4,070%.

Spicca poi la Vittorina Srl con il 6,977% (riconducibile alla famiglia Cefis) e la Scame Srl con il 6,589%.

Infine c’è la Nuova Fourb Spa – la famiglia Bombassei – con il 4,845%. La partecipazione della famiglia Pesenti nel Patto dei Mille è raccolta nella Franco Tosi Srl (con lo 0,388%). 

Per leggere nel dettaglio tutte le quote che compongono il Patto dei Mille clicca qui: ELENCO AGG ADERENTI PATTO DEI MILLE

“Fare banca per bene” è lo slogan di Ubi Banca. E i risultati di questo mantra sono visibili dai bilanci della banca. Ubi rimane la prima e l’unica banca finora delle dieci chiamate al passaggio da società cooperativa a Società per azioni.

Può sembrare un dettaglio, ma non lo è. Dimostra che in tempi in cui il mercato e l’Europa chiamano alle riforme, la governance di Ubi ha saputo rinnovarsi e adattarsi prima su tutte.

Ora si apre la seconda fase. Un’assemblea dei soci, quella fissata per il prossimo 2 aprile alla Fiera di Bergamo, in cui le azioni conteranno. Avranno un peso diverso i fondi e i patti nati al di qua e oltre l’Oglio.

Il patto bresciano vede tra i componenti la Fondazione Banca del Monte di Lombardia (circa l’1,6% del capitale Ubi), la Upifra della famiglia Beretta (poco meno delll’1%) la famiglia Folonari (1,5%), la famiglia Lucchini, Cattolica Assicurazioni, la famiglia Bazoli, la Serfis di Livio Strazzera, l’editrice La Scuola Spa e varie realtà legate alla Diocesi di Brescia. Si aggiungono Enrico Minelli, Pierpaolo Camadini, Letizia Cavalletti Bellini, Franco Polotti (con il gruppo Mar.Bea controlla quasi il 3% del patto di sindacato) per chiudere con il gruppo dell’imprenditore calzaturiero Virginio Fidanza (con la Olymbos e altre quote arriva a pesare quasi l’8% del patto).

Insomma, pare di capire che sulla banca del territorio i grossi nomi del’imprenditoria e della finanza bresciana abbiano creduto fino in fondo investendo il loro denaro. Ciò che non è avvenuto a Bergamo. Dove i grandi nomi dell’economia bergamasca hanno sì lavorato e tuttora lavorano con Ubi ritenendola la propria banca di riferimento, ma non hanno investito a sufficienza per pesare e quindi governare il futuro di Ubi in formato Spa. Perché i bergamaschi investitori in Ubi sono piccoli piccolissimi azionisti che hanno fatto della Popolare la loro banca… quando era una “popolare”, appunto.

Oggi però il mercato non chiede solo di saper “fare banca per bene”, chiede investimenti corposi. Quelli che forse a Bergamo sono mancati.

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