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Il libro

Intelligence e Geopolitica: inscindibili secondo Elia Valori

Paolo Savona, vicepresidente dell'Aspen Institute Italia, già ministro dell'Industria con il Governo Ciampi e direttore generale di Confindustria, docente universitario, esperto di Europa, economia, Ocse, racconta il libro del Cavaliere del lavoro Giancarlo Elia Valori.

Paolo Savona, vicepresidente dell’Aspen Institute Italia, già ministro dell’Industria con il Governo Ciampi e direttore generale di Confindustria, docente universitario, esperto di Europa, economia, Ocse, racconta il libro del Cavaliere del lavoro (nonché autorevole commentatore di Bergamonews) Giancarlo Elia Valori.

Giancarlo Elia Valori

Intelligence e Geopolitica. Riflessioni in libertà

Rubbettino, Soveria Mannelli 2015

euro 18.

Giancarlo Elia Valori sottopone sue nuove Riflessioni in libertà su un tema centrale della dinamica globale: le relazioni tra Intelligence e Geopolitica. La tesi centrale del suo libro è che le due componenti sono oggi inscindibili: se uno Stato intende perseguire una strategia geopolitica, ossia condurre una politica che non lo ponga ai margini dalla dinamica globale, deve operare con gli strumenti moderni dell’Intelligence.

Nell’”Introduzione” egli prende una posizione radicale sul tema: lo Stato è la sua Intelligence, che definisce “il nucleo vivo dello Stato”, “l’angelo custode del potere”, il “cuore e gli occhi dello Stato”, affermando che senza di essa “non vi è sviluppo possibile per il nostro Paese”. Valori ritiene che l’Intelligence si debba occupare “dell’intero quadro del processo decisionale, ma seleziona solo alcune decisioni-chiave che permettono il raggiungimento dell’obiettivo prescelto”, collaborando per “identificare l’interesse nazionale” e operando “in segreto… perché uno Stato non può sopravvivere come tale se tutto quello che decide è noto, prevedibile e contrastabile”.

In un habitat hobbesiano in cui homo, homini lupus – traslato a livello di Stato, lupo di altri Stati – le sue definizioni perdono il tratto enfatico che possono colpire il lettore, ma Valori porta abbondante materia a loro sostegno, soffermandosi, capitolo dopo capitolo, sui temi fondamentali che uno Stato e la sua Intelligence devono affrontare ai giorni nostri.

Egli dedica particolare attenzione ai “dossier esteri” che l’Italia deve saper mettere a punto e portare avanti: la posizione nei confronti del nucleare iraniano, nella crisi della Libia, nel contrastare l’espansione dell’Isis, nel difendere gli interessi nazionali nel trattato transatlantico TTIP, nel curare i modi di disimpegno in Afghanistan e nel prendere posizione sulle tensioni irrisolte tra Israele, Palestina e Medio Oriente e sulle incertezze nella collocazione geopolitica della Turchia; invita inoltre a riflettere sulle scelte legate all’immigrazione e sui riflessi del trattamento dei dati personali in Francia.

Ciò che sorprende è l’assenza di un capitolo autonomo dedicato al dossier Europa, anche se i tratti principali dell’assai delicata problematica emergono e si inabissano nell’esposizione come il mostro di Lock Ness; con la differenza che di quest’ultimo non si conosce se veramente esista, mentre ben sappiamo che abbiamo a che fare con il noto serpente europeo, nella versione assunta con l’euro.

Valori ricorre infine a un espediente espositivo di grande significato, collocando dopo il capitolo finale che ritorna sulla “Geopolitica”, un altro capitolo riguardante il futuro della Cina di Xi Jinping, sulla cui politica ripone molte speranze, assegnando particolare importanza alla sua “Via della Seta”, un’iniziativa strategica anche per l’Italia.

Le riflessioni in libertà sono talmente ricchi di outside e inside information che è impossibile tentarne una sintesi; possono solo essere lette direttamente se si intende condividere o respingere l’idea centrale del lavoro: se uno Stato non ha una buona Intelligence, è destinato a regredire sul piano politico ed economico; in breve non ha futuro. Nel perseguire questo suo obiettivo, egli tributa un grande omaggio a Francesco Cossiga, maestro di Intelligence, che Valori considera il “vicario ombra” dei grandi direttori dei Servizi italiani, a cominciare dall’Ammiraglio Martini, al quale dedica parole lusinghiere.

Di Cossiga afferma che “intendeva l’intelligence con dentro molti banchieri e professionisti-manager, pochi militari ma, quei pochi di eccelso livello culturale e professionale e molti, moltissimi, uomini di cultura e gente capace di fare guerra psicologica, guerra “culturale”, strategia globale per l’Italia, e poi per gli Alleati storici del nostro Paese.”

Questa impostazione sottolinea la necessità, accolta dalla legge di riforma del 2007, che i Servizi di Intelligence debbano coinvolgere il meglio dei gruppi dirigenti del Paese per individuare quali siano gli interessi nazionali e la migliore strategia per difenderli al fine di garantire la sicurezza e il benessere del Paese; questi sono gli obiettivi fondamentali dello Stato come elaborati dalla dottrina politica più avanzata che sono oggi drammaticamente e congiuntamente riemersi nella dinamica geopolitica nelle forma del terrorismo e della crisi finanziaria.

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