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In trip

“Basta con quelle scarpe, mi portano sfiga”: innocue scaramanzie quotidiane

Scaramanzia, jella, superstizione? Lui le chiama "trip"...: quando si compiono o si schivano gesti per far sì che la giornata o un evento vadano bene, oppure per evitare che qualcosa finisca nel modo peggiore possibile. Magari non ce ne rendiamo nemmeno conto ma un po' tutti abbiamo i nostri "trip", come il collega Matteo Bonfanti (direttore di Bergamo&Sport) che da oggi ci racconta i suoi "pallini".

Scaramanzia, jella, superstizione, formule magiche? Lui le chiama “trip”…: è quando si compiono o si schivano gesti per far sì che la giornata o un evento vadano bene, oppure per evitare che qualcosa finisca nel modo peggiore possibile. Magari non ce ne rendiamo nemmeno conto ma un po’ tutti abbiamo i nostri “trip”, come il collega Matteo Bonfanti (direttore di Bergamo&Sport) che da oggi ci racconta i suoi “pallini”.    

 

di Matteo Bonfanti

Pensavo di avercela addosso solo io, così non ne ho mai parlato a nessuno, manco a mia mamma che mi chiama dalle quattro alle otto volte al giorno e finisco col raccontarle anche quanto sono andato a pisciare pur di non restare in silenzio al telefono.

Poi, l’altra mattina, mia moglie mi ha beccato e mi ha detto: “Perché ogni giorno cambi le scarpe?”.

E le ho spiegato, ho dovuto: “Mi sono accorto che le Adidas mi portano sfiga. Le avevo venerdì, parcheggiavo e ho centrato la macchina dell’avvocato interista. Però neppure le Clarks mi fanno stare tranquillo, che sabato ho dovuto stare in redazione fino a tardi perché capitava sempre qualcosa, persino che Viganò non poteva andare a vedere il match clou tra Accademia Valseriana e Baradello Clusone. Da ieri metto le scarpe da calcetto, quelle bianche che mi ha regalato Gigi Foppa. Ad ora non mi è capitato niente di drammatico. Pare tutto a posto. Penso siano quelle buone. Oggi le ho confermate ai piedi. Vediamo”.

Mi ha guardato storto, si vedeva che aveva il pensiero di sempre, quello di aver sposato un pazzo.

Allora mi sono deciso e ho vuotato il sacco: “Amore, non sono solo le scarpe… Se vado a bere il caffè e attraverso la strada per andare dal Gamba senza attendere il verde, la mia giornata sarà piacevole, la gente mi vorrà bene, in ufficio non avrò scazzi e Monica venderà cinque pubblicità. Se aspetto perché c’è il rosso, i guai si concluderanno solo in tarda serata. Insomma, sarà una merda. Anche a casa, che magari non avrai neppure voglia di fare l’amore e ti metterai a leggere il libro sul buddismo, lasciandomi nella tristezza dello zapping su Sky”.

Dopo la confessione sull’importanza che ha per me il semaforo di via Battisti, ho visto mia moglie diversa. Sollevata. “Sapessi, tesoro… – ha esordito -. A me capita col parcheggio della fiera. Posto in prima fila, giornatina che vola. Seconda fila così così. Terza fila è dramma. Per questo ultimamente la mattina esco dieci minuti prima per andare al lavoro. Almeno non rischio siano otto ore tremende”.

La mia consorte, Costanza, è un bel tipo, è colta, intelligente, non guarda la tv, si documenta un sacco in internet, legge quasi un libro la settimana, è una mamma straordinaria. Insomma non è folle, anzi, è il suo contrario: è una donna in sagoma.

Parlarle mi ha rincuorato. Mi sono detto: “Se anche lei… Vado tranquillo”.

Ma già dopo un paio d’ore non ne ero più così convinto e immaginavo si fosse inventata il trip del parcheggio. Non per cattiveria, più che altro per amore, per cercare di convincermi che sono abbastanza normale.

Allora sono andato in redazione. Non a lavorare. Ma a caccia di conferme.

Senza confessarne il motivo, ossia che mi sentivo pazzerello, facendo quello che cazzeggia chiacchierando del più e del meno, intervistavo i miei due colleghi, prendendo la questione-superstizione ovviamente assai alla larga. “Ma voi? Avete qualche indumento che vi porta fortuna?”.

Marco, come da copione, stava sul vago, facendoci però intuire che ripeteva una serie di azioni ogni maledetta domenica, per aiutare il Verona, la pessima squadra di cui è tifosissimo.

Diversa Monica, che è un’allegra chiacchierona. Pungolata, è diventata un fiume in piena. “Parliamone – mi ha detto -. Di trip ne ho parecchi anch’io. Intanto evito le case in costruzione e i gatti neri, se li vedo all’orizzonte, giro la macchina e magari mi tocca fare tre chilometri in più per arrivare a casa. Poi c’è la maglietta che metto, hai presente quella bianca, brutta, dell’anteguerra? Quando me la metto non è perché voglio andare in giro a fare la barbona… E’ che è una garanzia di successo dai tempi dell’università. Quindi se devo andare da un nostro cliente a chiedergli i soldi, la indosso. E mi porto anche questa penna, che non va da dieci anni, ma serve alla causa”.

In serata sono andato a Lecco, a mangiare col mio babbino perché mi mancavano un sacco le sue parole che hanno il sapore dell’acqua del nostro lago e sanno coccolarmi. In mezzo ai nostri discorsi d’amore e di altri demoni, mi sono un po’ informato: “Papà, ma sabato sera cosa fa il Milan con l’Atalanta?”.

Mi ha risposto: “Beh, dipende da un paio di cose: se venerdì vinco alle carte coi miei amici e se sabato pomeriggio vado a bere l’aperitivo coi bidelli. Speriamo che Angela non voglia andare insieme a fare la spesa… Se rinuncio alla bevuta e vado all’Esselunga con lei, sicuro che i bergamaschi fanno il gran colpo a San Siro”.

L’ho abbracciato forte forte, stringendogli la pancia. Mi ha chiesto se mi ero rincretinito d’un colpo perché è da un po’ che ha male alle costole. Gli ho detto: “Scusa. Ti spiegherò. Non adesso perché è passato e non è più così importante”.

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