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Giro del mondo in musica E Joe Jackson torna a splendere (o quasi)

"Fast Forward," a sorpresa, è un bel disco, il più bello secondo dai tempi di "Night and Day", secondo Brother Giober. Che anche questa settimana vi dà suggerimenti di lettura, tv e arte varia.

Giudizio:

* era meglio risparmiare i soldi e andare al cinema

** se non ho proprio altro da ascoltare…

*** in fin dei conti, poteva essere peggio

**** da tempo non sentivo niente del genere

***** aiuto! Non mi esce più dalla testa

 

 

ARTISTA : Joe Jackson

TITOLO: Fast Forward

GIUDIZIO: ***1/2

Joe Jackson, quello degli inizi, è tra i miei artisti preferiti in assoluto e Night and Day uno dei cinque dischi da isola deserta.

Sono cresciuto con la sua musica, ho imparato a memoria le sue canzoni, ho visto moltissimi suoi concerti. Mi sono agitato con I’m the Man, entusiasmato con Night and Day, illuso con Body and Soul.

Poi ad un certo punto Joe Jackson ha perso la strada, ha creduto di poter produrre musica colta, trasversale e così ha iniziato a girovagare tra il jazz, la musica sinfonica e diavolerie varie, con risultati per nulla soddisfacenti. Con Night and Day II ha toccato il fondo.

Nel momento in cui poi ha tentato di tornare al pop lo ha fatto con risultati per nulla convincenti come nel caso di Rain, album datato 2008. E anche l’ultima fatica Duke, dedicata a ripercorrere il repertorio di Ellington, per ammissione dello stesso Jackson è stata di fatto un fallimento.

Sicché ho passato tutti questi anni fiducioso nella pubblicazione di un album se non bello come Night and Day almeno confrontabile, uscendone sempre deluso e neppure è servita la messa di uscite live che sono sembrate spesso raffazzonate e per nulla ponderate.

Fast Forward giunge inaspettato e non si presenta per nulla bene: copertina orribile, foto interne che ci mostrano un uomo di tre quarti d’età arresosi, con risultati disastrosi, alla chirurgia plastica.

Al netto delle considerazioni estetiche tuttavia Fast Forward, a sorpresa, è un bel disco, il più bello secondo me dai tempi di Night and Day.

Originariamente le canzoni avrebbero dovuto far parte di quattro EP, registrati in quattro città diverse: New York, New Orleans, Berlino e Amsterdam. Poi il tutto ha preso la forma di un album che sconta quale unico limite quello di essere un po’ prolisso: un paio di canzoni in meno, non ispirate come le altre, avrebbero giovato alla qualità complessiva. Il diverso luogo di registrazione ha influenzato il modo di comporre e gli arrangiamenti, anche per la presenza di musicisti assai diversi gli uni dagli altri, dando all’insieme dell’opera una complessità che tuttavia quasi mai suggerisce l’idea della dispersione.

Per una volta, dopo tanto tempo, con questo disco Joe Jackson è stato in grado di addivenire ad una sintesi stilistica apprezzabile

New York

Joe Jackson ha vissuto molti anni a New York eleggendola di fatto sua città di adozione. A New York era di fatto dedicato Night and Day. La band che lo accompagna in queste registrazioni è formata da Brian Blade alla batteria, Graham Maby storico bassista da anni al suo fianco, Regina Carter eccellente violinista jazz e Bill Frisell grande chitarrista di estrazione jazz ma impegnato in questi ultimi anni a esplorare sentieri musicali diversi. Sono queste le registrazioni nelle quali più evidenti sono i richiami al capolavoro degli anni ’80, è qui che le contaminazioni musicali, l’intreccio degli stili sono più evidenti.

Si parte con la canzone che dà il titolo all’intero lavoro, una ballata romantica, che ricorda da vicino la facciata “Day” di Night and Day. Un brano provvisto di una melodia non così immediata, formato da differenti strati sonori, ma arrangiato benissimo.

Ugualmente convincente il secondo brano, If I wasn’t for You. Più vicino, nelle atmosfere, al disco Body and Soul: una sferzata di energia, di allegria, con il piano in bella evidenza, stacchi e ripartenze che rendono la canzone particolarmente piacevole.

See No evil è una cover dei Television, il gruppo di Tom Verlaine che nei decenni scorsi e forse ancor oggi continua ad influenzare decine di gruppi “alternativi”. La versione è molto buona, il ritmo è serrato, l’atmosfera è quella tipica di certo rock intellettuale degli anni ’80.

King of the City è una ballata intimista, arrangiata perfettamente che ricorda certo easy listening americano degli anni 90, in primis Bill la Bounty e Boz Scaggs, ma anche i grandissimi Steely Dan, soprattutto nell’uso dei cori.

Amsterdam

Nella capitale olandese Joe Jackson si avvale della collaborazione del batterista Stefan Kruger e del tastierista Stefan Schmid, dell’organico della Royal Concertgebouw orchestra e della quattordicenne, stella di Broadway, Mitchell Sink. 

Il tributo alla capitale olandese prende il via con A little Smile, il singolo che la casa discografica ha pensato per il lancio dell’album. Il brano fila via bene grazie a una ritmica diretta, ad un arrangiamento sbarazzino e ad una melodia semplice ma efficace. Non sarà un capolavoro ma neanche un brano da disdegnare. Molto bello il violino.

Far Away vede l’intervento della cantante quattordicenne Mitchell Sink, protagonista di molti musical di Broadway. La celestialità della voce unita alla presenza del suono di un’arpa e di un violino, francamente appesantisce un po’ il tutto. In questo brano secondo me Joe Jackson ricade nell’errore degli album passati, abbandona l’essenzialità del rock per spingere la propria ambizione verso lidi musicali più complessi , perdendo un po’ il filo del discorso.

Nel tipico stile cantautorale è So You say, una ballata pianistica tutto sommato priva di sorprese mentre molto meglio è Poor Thing con il suo arrangiamento jazzato per il quale il più immediato accostamento mi suona essere quello ancora degli Steely Dan.

Berlino

Nella sua attuale città di residenza, Joe Jackson si fa accompagnare dal bassista Greg Cohen (già con Ornette Coleman, Tom Waits, Laurie Anderson e Bob Dylan) e dal batterista Earl Harvin.

Il primo brano è Junkie Diva ed è subito un ritorno agli anni ’80 ad album come Beat Crazy, dove è evidente la necessità di dare espressione a cifre stilistiche diverse, a ritmi che attingono dal jazz, dalla musica sudamericana, il tutto reso però in modo superbo.

Più vicino alle atmosfere berlinesi è If I could See Your Face, è un brano vissuto e interpretato con particolare pathos da Joe Jackson. Il testo è ispirato ad un fatto di cronaca realmente accaduto e relativo a questioni di integrazioni razziali. Le atmosfere orientaleggianti unite e sovrapposte a quelle più vicine alla cultura mitteleuropea probabilmente stanno a significare l’auspicio di una pacifica convivenza di differenti razze umane.

The Blue Time potrebbe essere un’outtake di Night and Day anche se dotata di minor freschezza rispetto allo standard dell’album, mentre Good Bye Johnny è un brano in stile cabarettistico, forse una cover, che francamente mi ha detto poco o niente.

New Orleans

Per ultimo l’omaggio a New Orleans, la città capitale dello Stato della Louisiana, centro principale della musica blues e jazz verso la quale Joe Jackson ha, evidentemente, un debito artistico da saldare. In questa sezione del disco i musicisti che partecipano alla registrazione provengono dalla funk band Galactic ( Stanton Moore alla batteria, Robert Mercurio al basso e Jeff Raines alla chitarra) alla quale si aggiunge una sezione fiati tra cui spicca la figura del sassofonista Donald Harrison.

A sorpresa Neon Rain ha atmosfera per nulla riferibile a quelle di New Orleans trattandosi di un brano stringato, essenziale, per certi versi cupo, molto rock che ricorda i suoni dei primissimi album dell’artista. Ad ogni modo l’effetto complessivo è buono e in questa sua rivisitazione degli anni che furono Joe Jackson risulta ancora credibile.

Più in linea con quello che ci si dovrebbe aspettare dal luogo di registrazione e dai musicisti coinvolti è Satellite, una ballata pianistica con una chitarra che dà ritmo al brano, provvisto di una buona melodia e che ci riporta ai migliori episodi del passato. Molto Steely Dan ancora una volta e, a Donald Fagen, in particolare.

Altrettanto riuscita è Keep on Dreaming , ancora una ballata con un bel refrain, una sorta di scioglilingua, che dà un’accelerata al brano, con intermezzi melodici che scompigliano l’abitudine all’ascolto. Bello e tutto sommato inusuale. Forse qui il jazz è presente più che altrove grazie anche alla coda del brano dove piano e fiati improvvisano una sorta di jam d’effetto.

Chiude l’intero lavoro Ode To Joy e qui il riferimento agli album riusciti del passato (Beat Crazy e ancora Night and Day) è più che evidente. Il brano introdotto da percussioni e tastiere esprime ad un certo punto una melodia accattivante e, tra le note, è possibile riconoscere un richiamo all’Inno alla Gioia di Beethoven.

In conclusione.

Fast Forward è certamente un lavoro al disopra della media con punte di eccellenza. È un’opera complessa e multiforme, grazie anche alla presenza di musicisti di diversa estrazione: ma alla fine un filo comune che unisce i brani c’è e sta nel tentativo di proporre una musica che attinge da questo e quel genere nel solco però di una struttura che è quella della ballata, tipicamente cantautorale, pianistica. Insomma da ascoltare e Joe Jackson da riscoprire, botox a parte.

Se non si vuole ascoltare tutto il disco: Fast Forward

Se non ti basta ascolta anche:

Steely Dan – Aja

Boz Scaggs – Dig Bill

la Bounty – Back to Your Star

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Tutto Può cambiare (Sky Cinema) – Keira Knightley non ha una gran voce , però la storia è carina, le canzoni niente male e ogni tanto anche una storia di buoni sentimenti può andare bene)

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