Dedica i suoi saluti, gli ultimi da rettore a Bergamo, a "quelli che fanno fatica".
Stefano Paleari di fatica ne ha fatta in sei anni di guida dell’Università orobica. E i risultati si vedono proprio nel giorno del suo commiato.
Sono lì a sintetizzare un grande lavoro e un’operazione chiara, visibile, aperta.
Un’operazione che ha trasformato l’Ateneo di Bergamo: giovane (47 anni appena), piccolo, ancora acerbo. L’ha fatto crescere, portandogli in dote storia e prestigio.
La storia è lì sotto gli occhi di tutti: è la nuova Aula Magna che si inaugura insieme all’Anno accademico, la trecentesca (ex) chiesa di Sant’Agostino. Un "oh" di meraviglia accompagna l’ingresso degli invitati: maestosa ma non pomposa, lineare nella sua simmetrica semplicità, diciamolo, un bellissimo spazio per la cultura che poche Università possono vantare. Solo quelle storiche appunto, come Bologna o la Sorbonne.
Il prestigio pure è lì, sotto le campate del soffitto decorato da eccellenti artigiani: sono i rettori di tutta Italia, ma anche di parte d’Europa, quelli che circondano in questa speciale occasione il professor Paleari. La loro presenza racconta, senza troppe parole, della sprovincializzazione, della riuscita apertura dell’ateneo orobico, del suo collegamento concreto col resto del mondo.
E che mondo! Quello delle Università di Saragozza, di Heidelberg, di Parigi.
E, ancora, di Bologna, la prima d’Europa. Bologna, eccola, col rettore Ivano Dionigi a tenere la lectio magistralis: una lezione sulla res publica, sull’evoluzione del senso della politica, del "tenere insieme gli interessi dei singoli con quelli della collettività".
Un excursus che parte da lontano per guardare al nostro futuro.
Lo stesso sguardo ampio del rettore Paleari.
commenta