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Chris Stapleton ora fa per sè: Traveller è un piccolo tesoro

Chris Stapleton è uno che ha sudato le classiche sette camice per farsi largo nel mercato discografico e giungere alla pubblicazione della sua prima prova. Non è uno da talent-show e, all’età di 37 anni, è giunto alla sua prima prova discografica. Il risultato? Eccellente scrive Brother Giober.

Giudizio:

* era meglio risparmiare i soldi e andare al cinema

** se non ho proprio altro da ascoltare…

*** niente male

**** da tempo non sentivo niente del genere

***** aiuto! Non mi esce più dalla testa

 

 

ARTISTA: Chris Stapleton

TITOLO: Traveller

GIUDIZIO: ****

Chris Stapleton è uno che ha sudato le classiche sette camice per farsi largo nel mercato discografico e giungere alla pubblicazione della sua prima prova. Non è uno da talent-show e, all’età di 37 anni, è giunto alla sua prima prova discografica. Il risultato? Eccellente.

Ma facciamo un passo indietro.

Chris Stapleton non è uno qualunque anzi. Fino ad oggi ha scritto soprattutto per altri artisti, country, in alcuni casi di gran nome, come Tim McGraw, Charlie Daniels, Kenny Chesney, Brad Paisley, Luke Bryan e poi, in qualità di coautore, anche per Adele, Peter Frampton e Sheryl Crow; ha anche fondato due band che però non hanno lasciato nel tempo traccia di sé.

Ora pubblica questo Traveller, un disco non facile né immediato, che necessita di tempo per essere assimilato (a me sono serviti 4/5 ascolti) ma che poi ti affascina, ti esalta, ti conquista.

Musicalmente Chris Stapleton proviene dalla scena di Nashville e benché la sua musica risenta delle atmosfere del luogo, non può definirsi country o quanto meno non solo. Confluiscono invece più generi, oltre al country, anche il blues, Americana, il southern rock, la scuola cantautorale che va da Dylan in poi e se proprio devo trovare un’analogia, quella che mi pare più immediata si riferisce ad artisti come John Mellecamp, Tim MaGraw, Garth Brooks, Dwight Yoakam, e ai loro lavori più recenti.

Per la produzione di questo disco si è affidato a Dave Cobb, un professionista tra i più stimati della scena di Nashville, che ha già collaborato con Sturgill Simpson, Jason Isbell e Jamey Johnson ossia alcuni degli artisti country di maggior successo negli USA mentre tra i musicisti che sono presenti una menzione merita senza alcun dubbio l’armonicista Mickey Raphael.

Quattordici canzoni, tra cui due cover neppure troppo famose di altri artisti country.

Il primo brano è quello che dà il titolo all’intero lavoro, ovvero Traveller. Colpisce da subito la voce, fiera, tipicamente country e poi la melodia immediata con la steel guitar in primo piano a ricordarci le radici del “nostro”. Nonostante il successo che il country ha negli Stati Uniti, il brano, che è anche il primo singolo, non credo raggiungerà le prime posizioni della classifica di vendita perché non commerciale, poco ammiccante al gusto americano che, si sa, non è così raffinato, almeno quello delle grandi masse.

Segue Fire Away, un brano profondo, rallentato, solenne che mi ricorda alcune cose del Boss ma anche di Garth Brooks. Ancora la steel guitar in primo piano e un’interpretazione canora che colpisce sin dal primo ascolto oltre che una pulizia dei suoni che rende merito al lavoro del produttore.

Tennessee Wiskey, è una cover. Venne scritta da Dean Dillon e Linda Hargrove e tra le varie interpretazioni la più nota è quella di George Jones, un artista molto noto dalle parti di Nashville. Su un tessuto country si possono percepire alcune influenze soul, soprattutto nel modo di cantare di Stapleton. Il brano è piacevolissimo, nostalgico, da evitare se avete già il cuore spezzato, con un bel “solo” di chitarra nel mezzo.

Un intro chitarristico altamente scenografico dà il via a Parachute, un brano con influenze morriconiane, che mischia country e rock . Ancora una volta trattasi di una canzone riuscita che alterna momenti rilassati ad altri più incalzanti, nell’insieme ancora sopra la media.

Un’atmosfera molto intima è quella di Whiskey and You, una ballata, già interpretata nel passato da un altro grande del country, Tim Mc Graw, per solo chitarra e voce, bella e intensa, la quale pur priva di una melodia riconoscibile colpisce ugualmente per la qualità dell’interpretazione, del trasporto emotivo. Un piccolo capolavoro che riporta la mente a Dylan, Guthrie e tutta la scuola folk americana.

Suoni che ricordano Dwight Yoakam e la sua musica che unisce rock, country e blues ed ecco Nobody to Blame, una ballata elettrica fornita di buona melodia con solo di chitarra centrale e armonica a supporto particolarmente godibili.

More of You è abbastanza convenzionale e forse un po’ troppo lunga tanto da risultare un poco noiosa mente When the Stars come out è una languida ballata con la “steel” in primo piano provvista di una melodia meravigliosa , certamente tra le cose meglio riuscite della raccolta.

Ma Chris Stapleton è un duro e quindi eccolo tornare alla forma di canzone spoglia, ancora solo chitarra, voce e un’ armonica in lontananza: Daddy doesn’t pay anymore è un brano dall’intensità quasi imbarazzante, da assaporare prendendosi il giusto tempo. Forse la prima volta vi dirà poco, ma poi vi entrerà nel cuore e nella mente.

Might As Well Get Stoned ha un intro che potrebbe essere dei Rolling Stones. La struttura del brano è molto robusta, qui è il rock a farla da padrone, le chitarre sono inequivocabilmente elettriche, il riff granitico e il “solo” posto verso la fine decisamente riuscito.

Chris si cala ancora nella pure tradizione con Was It 26, ancora una cover già nel passato nel repertorio di Charlie Daniels: la ballata è introdotta da chitarra e voce, quindi tutti gli strumenti che però restano in secondo piano. Bella la melodia così come l’arrangiamento per un brano che regala atmosfere desertiche, grazie anche al suono dell’armonica che appare qui e là.

The Devil Named Music è per i miei gusti un po’ troppo convenzionale, però la melodia è molto bella, il suono dell’armonica suggestivo e l’interpretazione particolarmente riuscita. Se siete amanti del country vero, vi piacerà.

Outlaw State of Mind è uno dei brani più deboli dell’intero lavoro ed è basato su una serie di stacchi e ripartenze che però, francamente, non lasciano il segno, salvo per un notevole lavoro dell’armonica.

Tutt’altro discorso è quello che merita Sometimes I Cry, dal vivo, secondo me il brano più bello in assoluto anche se forse il più distante, da un punto di vista sonoro, dal resto del lavoro. Su una base blues, Stapleton compie una serie di acrobazie vocali, che ricordano da vicino i grandi del soul. Il brano è spoglio, struggente ma estremamente coinvolgente.

Un esordio particolarmente riuscito, con una serie di canzoni decisamente sopra la media e un paio da ricordare. Non so se il mercato premierà Chris Stapleton e se sentiremo nuovamente parlare di lui, ma per ora teniamoci ben stretto questo piccolo tesoro.

Se non si vuole ascoltare tutto il disco: Sometimes I Cry

Se non ti basta ascolta anche:

Garth Brooks – Garth Brooks

John Mellecamp – Life, Death, Love and Freedom

Tim McGraw – Sundown Heaven Town

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