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Arte

L'intervista

Longaretti e la nuova Carrara “Non l’ho riconosciuta, è più bella, più raffinata” fotogallery video

Il Maestro Trento Longaretti ha raccontato Bergamonews, a Stefania Burnelli, le prime impressioni sul restyling dell'Accademia Carrara di cui è stato docente di Pittura e direttore dell'Accademia dal 1953 al 1978.

Nel giorno tanto atteso della riapertura dell’Accademia Carrara di Bergamo, dopo sette lunghi anni di lavoro ma anche di rinvii, diatribe, progetti rifatti e cantieri che parevano senza fine, l’emozione di ritrovare e di riscoprire i "nostri" capolavori d’arte nel loro autorevole contenitore storico ha sopraffatto tutti.

E ha fatto dimenticare, almeno per un poco, le criticità e le ansie di questo forzato, prolungato esilio dei bergamaschi (e del mondo dell’arte tout-court) dalle sale di via S. Tomaso.

Tra i primi a varcare l’ingresso della rinnovata pinacoteca, è stato il depositario più autorevole e rappresentativo del lascito spirituale del conte Carrara e della straordinaria stagione della scuola di pittura annessa al museo, il maestro Trento Longaretti.

Docente di Pittura e direttore dell’Accademia Carrara dal 1953 al 1978, Longaretti ha traghettato la civica istituzione per un quarto di secolo attraverso i flussi e le svolte cruciali delle arti visive del secondo Novecento. E quei muri, quelle scale, quei dipinti, li ha frequentati e amati più di chiunque altro.

Gli abbiamo chiesto, allora, la sua impressione, dopo una giornata di grandi emozioni, di visita alle nuove sale, di tanti incontri, di inevitabili, indelebili ricordi.

Maestro, l’ha riconosciuta la sua Carrara dopo questo restyling e questo riallestimento?

"No, non l’ho riconosciuta perché è totalmente cambiata. In meglio, è più importante, più grande, più raffinata come esposizione, più bella. E poi, mentre prima erano 450 le opere in mostra, adesso sono 600. E’ una sorpresa positiva, senz’altro".

Che cosa le è piaciuto di più?

"Sempre Raffaello, per me il suo S. Sebastiano è il dipinto più importante. Ma anche il ritratto di Lionello d’Este di Pisanello, messo così in bella evidenza. E naturalmente Mantegna, la Madonna col Bambino che è una rarità perché non è un olio su tavola, ma è una finissima tempera su tela, restaurata molto bene. Poi mi sono piaciute le cornici che hanno messo, io le ho viste prima che le togliessero, nel ’53. Nel ’55 la scelta fu razionalistica, furono tolte le cornici, messi i listelli, i dipinti tutti allineati su una linea. Questa commissione ha riordinato e ripristinato con sensibilità e intelligenza: fortunatamente, le cornici in gran parte erano state conservate e stanno molto bene sui quadri restaurati. Anche la sistemazione per scuole regionali è molto interessante. Così la Carrara si conferma un grande museo".

C’è qualcosa di cui ha nostalgia? "

Prima si entrava nel salone e la scala d’accesso alle collezioni era sulla sinistra. Era una scala comoda, ampia, si saliva da lì nelle sale. Adesso invece si passa da una porticina sulla destra, mi sembra un po’ misero come ingresso… Questa è l’unica cosa che mi è un po’ dispiaciuta".

Dalla sala della collezione Zeri è stato aperto un bell’affaccio sulla Scuola dell’Accademia. Molti visitatori ne notano per la prima volta gli affreschi, eseguiti nel Novecento dagli allievi di Funi e dai suoi. E si domandano perché non vengano restaurati.

"Purtroppo, li volevano distruggere quando hanno rimesso a posto la scuola, che adesso non è più una scuola di pittura ma è una scuola di arte contemporanea. Però la Soprintendenza li ha vincolati. Sì, sono un po’ annebbiati… Adesso il giardino tra la scuola e la pinacoteca va sistemato. Peccato che abbiano levato le bellissime piante, però gli affreschi ci sono ancora, e hanno bisogno di una pulizia, di un restauro e di una protezione dalla pioggia e solare".

A quel tempo, non si parlava di dirigenti, manager, super-fondazioni…

"Direi proprio di no. L’unica figura di riferimento era il professore di pittura, direttore della scuola di pittura. All’inizio, in questa veste, mi dovevo occupare anche della pinacoteca perché non c’era il direttore. E i nobili della commissaria mi avevano incaricato anche di seguire le collezioni. Dopo, è stato indetto il concorso dal Comune, ed è arrivato Francesco Rossi. Dell’Accademia Carrara come scuola di pittura sono stato l’ultimo maestro, e il rapporto con la pinacoteca era a filo doppio. Il conte Carrara, del resto, aveva fondato prima la scuola, e dopo mise i suoi quadri in questo stabile per farli copiare ai ragazzi. Arrivarono poi nuove donazioni e nel 1810 la costruzione dell’edificio neoclassico di Simone Elia che ospitò la pinacoteca insieme alla scuola. Fu nel 1910 che la scuola fu separata in un edificio adiacente, e il palazzo interamente consacrato ai quadri".

Che cosa dice delle nuove opere esposte?

"In mostra ci sono tante opere che non si conoscevano perché erano in magazzino, sono almeno duecento. Man mano che passavo di sala in sala notavo: questa non c’era, questa c’era, questa non c’era. Molte opere sono state pulite, incorniciate ed esposte: è stata una bella operazione".

Ce n’è una in particolare che riteneva necessario far vedere?

"Sono diverse. Capolavori, no. Adesso c’è un buon settore di arte dell’800 e ‘900 che prima non era in vista. Inoltre, mi è piaciuta la valorizzazione del quadro ‘Ricordo di un dolore’, messo a chiusura di percorso, di Pellizza da Volpedo, uno dei massimi pittori dell’Ottocento. L’Accademia non ha altri segni della sua presenza, eppure lui veniva a Bergamo a studiare con Cesare Tallone: fu qui due anni, aveva anche tanti amici in città. E in segno di riconoscenza donò questo quadro alla nostra istituzione. E’ un documento d’arte e di storia molto importante".

 

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