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Arte

La scomparsa

L’arte di Bergamo dà l’addio ad Attilio Gattafù: la verità in pittura

Addio a Attilio Gattafù, un nome importante dell’arte a Bergamo. Un artista schivo, lontano dalle mode, indifferente alla mondanità, ma attentissimo all’attualità dell’arte e della storia, tanto da tenersi aggiornato e dialettico sulla contemporaneità fino all’ultimo, nonostante la sofferenza di una lunga malattia che da anni lo aveva allontanato dalla pubblica scena.

Addio a Attilio Gattafù, un nome importante dell’arte a Bergamo. Un artista schivo, lontano dalle mode, indifferente alla mondanità, ma attentissimo all’attualità dell’arte e della storia, tanto da tenersi aggiornato e dialettico sulla contemporaneità fino all’ultimo, nonostante la sofferenza di una lunga malattia che da anni lo aveva allontanato dalla pubblica scena.

Ma l’ultima grande mostra, dedicatagli dall’ASAV di Seriate nell’autunno 2012, aveva riacceso i riflettori su un’arte dal segno inconfondibile e dalla forza dirompente, su una personalità artistica incisiva e rappresentativa di una generazione di veri talenti del panorama lombardo del secondo Novecento.

Gli amici ricordano in lui la grinta del maestro, la generosità dell’uomo, l’onestà e l’impegno dell’intellettuale. Non a caso l’antologica seriatese era titolata “La verità in pittura – passione solitaria di un chierico”, laddove l’accento cadeva sia sulla libertà di un linguaggio teso solo all’autentico, sia sulla lucidità di un’analisi ostinata, indipendente e anticonformista, del reale.

Nato a Bergamo nel 1933, Gattafù si era diplomato all’Accademia Carrara sotto la guida di Achille Funi e di Trento Longaretti e all’Istituto d’Arte “A. Venturi” di Modena e negli anni Sessanta entrò a far parte, con i pittori Attilio Steffanoni e Florenzio Corona, col poeta Romano Leoni, con l’architetto Walter Barbero e Silvio Burattin, del gruppo di dissenso ispirato al poeta e saggista Giorgio Ceserano.

Erede di una tradizione di artisti-artigiani completi, capaci di affrontare con competenza qualsiasi tecnica, era esperto dei mezzi pittorici, eccellente grafico e nondimeno appassionato, straordinario scultore.

Chi l’ha visitata non dimentica la mostra all’Arteuropa di via Quarenghi, nell’autunno 2000, dove una teoria di sculture, in ebano, noce, tiglio, cirmolo e bozzetti in grès dava corpo a un suggestivo universo di contaminazioni zoomorfe, antropomorfe, mitologiche capaci di denunciare con prorompente vitalità il disagio e l’angoscia di una contemporaneità estraniata dai valori di giustizia, di pietà individuale e di coscienza collettiva.

La sua pittura, personalissima e condotta nel solco di una moderna figurazione, ha resistito a tutti i costi alle sirene delle nuove tendenze e dei nuovi-ismi e ha continuato a cercarsi – come ha scritto Attilio Pizzigoni nello splendido saggio per la mostra seriatese del 2012 – “ nella continuità con la storia, nel rispecchiamento e nel riconoscimento di una disciplina che coniugava il passato e l’attualità con i medesimi strumenti, con le medesime attenzioni e conoscenze”.

Tra le sue opere più note, l’illustrazione “colta”, di potenza veritiera e fantastica insieme, della Divina Commedia realizzata in 100 tavole a colori e pubblicata negli anni Novanta da Grafica & Arte in 1200 esemplari numerati. Cultore della pittura dei maestri della tradizione europea dal Seicento all’Ottocento, affascinato tanto dall’eclettismo della Secessione Viennese d’inizio Novecento quanto dalla cultura cinese e dalla spiritualità orientale, Gattafù ha coltivato per tutta la vita un’arte aderente, sempre, ai valori del confronto sociale, della militanza culturale, dell’emancipazione dell’uomo attraverso l’integrazione tra le arti e gli spazi del vivere civile. Un’arte non facile e spesso spigolosa, e tuttavia umanissima e commovente, capace ancora oggi, come sottolinea Pizzigoni, “di provocare polemica e di sollevare disagio tra i conformisti del contemporaneo”.

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