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Musica

Il discomane

Un po’ di sano Rock’n’Roll: Tom Petty & Heartbreakers in splendida forma

Torna Brother Giober e subito ci propone una perla in questo panorama un po' povero della musica rock: "Hypnotic Eye" di Tom Petty con gli Heartbreakers. Forse proprio grazie alla band, tra le migliori in circolazione, assicura il discomane, "siamo di fronte a un signor disco".

Giudizio:

* era meglio risparmiare i soldi e andare al cinema

** se non ho proprio altro da ascoltare….

*** in fin dei conti, poteva essere peggio

**** da tempo non sentivo niente del genere

***** aiuto! Non mi esce più dalla testa

 

 

ARTISTA: Tom Petty and the Heartbreakers

TITOLO: Hypnotic Eye

GIUDIZIO: ****

Non son un fan sfegatato di Tom Petty, giusta la premessa.

Il primo album l’ho comprato nel 1979, Damn the Torpedoes, uno dei suoi più grandi successi internazionali; a quei tempi la stampa centrifugava tutto nel punk o nella new wave e neppure Tom Petty, che ne era distante anni luce, sfuggiva alla regola. Tuttavia il disco in questione, pur uno dei migliori dell’intera discografia, non mi ha mai colpito più di tanto.

Poi, nel tempo, la sua musica ha definito in modo chiaro le sue fonti di ispirazione che sono quelle del più sano rock’n’roll, della canzone d’autore americana e che hanno in gente come Neil Young, il Boss, Bob Seeger, Neil Young, The Band, l’ideale compagno di ventura.

Dirvi perché Petty non mi abbia mai convinto del tutto mi è difficile e forse anche di poco interesse per chi legge, ma forse la sua musica è un po’ troppo “bianca”, mentre se non c’è un pizzico, anche solo un pizzico, di soul o di blues per me manca tutto.

Vero anche che alcuni suoi dischi, negli ultimi anni, hanno ridestato una certa mia attenzione, in particolare, quelli frutto dell’esperienza con i Mudcrutch e il monumentale The Live Anthology.

È per questo che alla sua uscita, a fine luglio, non avevo particolari aspettative su Hypnotic Eye quasi certo di trovarmi di fronte ad un discreto disco, nulla di più, fatto di musica scontata e di cui conoscevo già tutto o quasi.

Ma la pochezza delle uscite del periodo mi ha di fatto obbligato a concentrarmi sul lavoro e i reiterati ascolti mi hanno poi convinto che, come spesso capita, mi sbagliavo, perché Hypnotic Eye è un signor disco come da tempo non mi capitava di ascoltare.

Due le principali ragioni: la prima è la più banale, perché siamo di fronte a belle canzoni, tutte, senza eccezione alcuna, tutte che ricordano in particolare i suoni dei primi due album di Petty, ovvero quelli più marcatamente rock ‘n’ roll. Dappertutto sono le chitarre a farla da padrone assolute, mentre comprimarie sono le tastiere e i ritmi, spesso sostenuti, sono di quelli che convincono a battere il piedino a tempo senza possibilità di difesa.

Poi i suoni: gli Heartbreakers sono fra i gruppi “spalla” migliori in circolazione, a mio parere pari alla E Street band e una spanna sopra ai Crazy Horse, con un chitarrista, Mike Campbell, come se ne sentono pochi in giro e un tastierista, Benmont Tench, di gusto sopraffino e autore quest’anno di un disco che consiglio a tutti.

Questa eccellenza condiziona il risultato finale in modo evidente e il disco suona compatto, massiccio, senza scadimenti di sorta e con preziosismi strumentali di grande effetto, mai però, o quasi, fini a se stessi.

Quindi un ottimo disco di sano rock’n’roll, come se ne facevano tanti anni fa, ma con un gusto più moderno probabilmente frutto della lunga esperienza on the road di Petty che, oramai, ha più di 60 primavere e centinaia (forse migliaia) di concerti alle sue spalle.

Unico neo: i testi e gli argomenti trattati che sono un po’ da vecchio brontolone incline a criticare tutto ciò che è presente e quindi a esaltare il passato e che sono disponibile ad accettare laddove il tema è complesso ed effettivamente di sostanza, meno altrove se il pregiudizio è evidente e fine a se stesso.

Hypnotic Eye parte con American Dream Plan B, il brano “traino”, dotato di un riff chitarristico poderoso, molto heavy, che si incrocia con la voce di Petty, alterata da qualche diavoleria di studio e che la fa simile a quella degli orrendi Cameo di trascorsa memoria (quelli di Word Up). Mi rendo conto che la descrizione sia poco verosimile ma vi assicuro però che il tutto funziona a meraviglia e il brano resta nella memoria indelebilmente.

La decisione di lasciare tra un brano e l’altro uno spazio di tempo ridottissimo è probabilmente voluta, in modo da far sembrare il tutto una suite e l’effetto è particolarmente gradito quando, su ritmi particolarmente accelerati, parte il secondo brano, Fault Lines, che vive sul dialogo tra chitarre e armonica e che avvicina il suono a quello dei Rolling Stones.

Più ancorata alle radici dell’artista è invece Red River, una ballata mid tempo, con un refrain di ampio respiro mentre uno spruzzo di jazz è quello che si riesce a cogliere nella successiva Full Grown Boy, un brano sospeso, rilassato dove fa bella mostra di sé un “solo” di chitarra tanto languido quanto efficace.

All You Can Carry è un’altra ballata dotata di un riff chitarristico incisivo, ma già sentito, e anche di una melodia accattivante. Non è un brano che rimarrà nella storia ma tutto sommato funziona egregiamente.

Robuste venature blues sono quelle che solcano le note di Power Drunk, un brano che profuma di sudore e polvere, senz’altro interessate, soprattutto quando viene dato libero sfogo alla chitarra di Mike Campbell e spazio alle tastiere liquide di Benmont Tench, mentre i ritmi accelerano con Forgotten Man che si fa ascoltare con un certo piacere, soprattutto nell’intermezzo chitarristico che fa tanto Allmann Brothers Band.

Sins of My Youth è un altro brano lento, rilassato, più d’atmosfera che d’altro, che fila via liscio senza tuttavia lasciare grande traccia.

Molto vicina alle sonorità dei primissimi album è U Get Me High, una bella ballata fluida, con un ritornello solare, molto californiana.

Ancora blues, molto blues è quello presente in Burnt Out Town, canzone di meno di tre minuti basata sul fitto rimando tra voce e armonica e il giro di basso noto a tutti. Brano certo non originale ma di sicuro effetto che immagino sarà uno dei pilastri del tour che seguirà l’uscita dell’album.

Chiude il disco Shadow People, un sano rock blues, basato su un riff di chitarra abbastanza scontato ma tutto sommato riuscito.

In definitiva come dicevo una sorpresa perché il disco fila via che è una meraviglia e mi ha fatto riavvicinare ad un artista che avevo un po’ perso.

Per tutti gli amanti del rock americano, quello più classico, un’occasione imperdibile.

Se non si vuole ascoltare tutto il disco:

American Dream Plan B

Se non ti basta ascolta anche:

Greg Kihn band – Next of Kihn

The Band – Rock of Ages

Bob Dylan – The Basement Tapes

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