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Al festival

Sulla Croisette si ride La Palma per l’ironia va al regista Szifròn

In tutti gli episodi è presente il detonatore che fa saltare gli argini tra civiltà e barbarie. Probabilmente questo film non vincerà la Palma d’oro anche perché la divisione in racconti gli toglie forza. Eppure lo stile di questo regista, che è anche sceneggiatore, è di qualità e si intravvedono tracce e riferimenti altolocati come Tarantino e Altman, Mel Brooks e Woody Allen.

Titolo: Relatos Salvajes;

Regia: Damiàn Szifròn;

Genere: a episodi;

Durata: 122 minuti;

Anno: 2014;

Cast: Ricardo Darìn, Oscar Martinez, Darìo Grandinetti, Rita Cortese, Julieta Zylberberg, Erica Rivas, Leonardo Sbaraglia,

Produzione: Argentina, Spagna;

Voto: ***

 

Da Cannes, Paola Suardi

Finalmente si ride a Cannes, e di gusto, con questo strano film ispano-argentino in concorso.

Si tratta di sei episodi, tutti racconti più o meno brevi, e selvaggi. La tesi è chiara fin dai titoli di testa dove i nomi degli interpreti sono accostati a foto di animali selvaggi o selvatici: gli uomini sono animali, e pure pericolosi.

A dire il vero il primo episodio si esaurisce già prima dei titoli di testa ed è il più surreale. A bordo di un aereo di linea tutti i passeggeri scoprono di avere un dato in comune, cioè aver conosciuto un certo Gabriel Pasternak – apparentemente sfigatissimo e problematico soggetto fin da ragazzino – che si scopre essere il pilota dell’aereo. La sua maestra, il suo psicanalista, la sua ex fidanzata e tutti gli altri non si trovano a bordo per caso. Il pezzo è esilarante.

Poi ci spostiamo in una tavola calda dove in quattro e quattro otto, attraverso gustosi duetti tra la cuoca e la cameriera, la cameriera e l’unico avventore, si arriva a un omicidio.

E’ poi la volta di una sfida all’ultimo sangue tra due automobilisti su una strada isolata in montagna. Perso ogni freno inibitore, l’escalation di violenza si esplicita in azioni imprevedibili ma allo stesso tempo scandalosamente divertenti, fino al tragico esito che pure dà luogo a una battuta finale da barzelletta.

Il quarto episodio è la storia di un ingegnere esperto in demolizioni che si ribella agli abusi della pubblica amministrazione. Finirà in galera col soprannome di “Bombita”.

Si ride un po’ meno ma c’è un lieto fine.

Segue la storia del piano architettato da una famiglia alto borghese per proteggere e scagionare il proprio figlio, colpevole di aver travolto con l’auto una donna incinta e di aver ucciso lei e la sua creatura. La comicità nasce durante la contrattazione con chi aiuterà a portare avanti il piano: l’avvocato d famiglia, un domestico di fiducia, l’ispettore di polizia. Il finale giunge assolutamente inaspettato.

L’ultimo episodio, un po’ più lungo degli altri, si sviluppa in occasione del ricevimento di matrimonio di due giovani alto borghesi. In poco tempo si passa dall’euforia di una festa che mixa gli attuali canoni festaioli (dj, servizio video etc…) con la tradizione (girotondi di uomini e donne, musica folk) a un dramma della gelosia in piena regola con risvolti inimmaginabili. Sceneggiatura, ritmo e bravi interpreti rendono l’episodio particolarmente gustoso. In tutti gli episodi è presente il detonatore che fa saltare gli argini tra civiltà e barbarie.

Probabilmente questo film non vincerà la Palma d’oro anche perché la divisione in racconti gli toglie forza. Eppure lo stile di questo regista, che è anche sceneggiatore, è di qualità e si intravvedono tracce e riferimenti altolocati come Tarantino e Altman, Mel Brooks e Woody Allen.

E poi tra i produttori c’è Pedro Almodovar. Scommettiamo che di Damiàn Szifròn sentiremo parlare ancora molto?

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