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L'intervista

Micheli: “Il mio Otello alla Fenice di Venezia? E’ affamato di verità” fotogallery

Il regista bergamasco Francesco Micheli che ha firmato la regia dell'Otello di Giuseppe Verdi, opera che ha aperto la stagione lirica alla Fenice di Venezia, racconta a Bergamonews come ha immaginato il protagonista verdiano.

di Stefania Burnelli

E’ stato un debutto d’eccezione quello di venerdì 16 novembre per l’Otello di Giuseppe Verdi al teatro La Fenice di Venezia, firmato dal regista Francesco Micheli.

Bergamasco, quarant’anni, un curriculum di prim’ordine, Micheli ha avuto l’onore di inaugurare la stagione lirica 2012-2012 della Fenice a fianco del maestro coreano Myung-Whun Chung in occasione del bicentenario della nascita dei compositori che più di tutti hanno lasciato un segno nella storia della musica e dell’opera, Wagner e Verdi.

Le repliche dell’Otello e del Tristan und Isolde di Wagner (regia di Paul Curran) si alternano in scena in questi giorni fino al primo dicembre e fin dalla prima hanno raccolto un successo molto vivo.

Ne parliamo con Micheli, regista dalla sfolgorante carriera cominciata a venticinque anni con l’allestimento per il Museo del Teatro alla Scala della Cantarina di Niccolò Piccinni e proseguita su strade tanto prestigiose quanto inusuali (è anche autore di lavori innovativi tra il concerto e lo spettacolo, di opere di ricerca e di format televisivi che partono dall’opera lirica ma sono decisamente nuovi) che lo hanno portato a conseguire il premio Abbiati alla regia e ad essere nominato, nel gennaio 2012, direttore dello Sferisterio di Macerata.

Qual è oggi la magia di Otello?

"Il bicentenario di Verdi e Wagner, la presenza del maestro Chung, Otello a Venezia, l’inaugurazione di stagione, tutti questi fattori hanno il valore di autentica solennità. A me, le cerimonie non interessano ma in questo momento così difficile per il Paese e non solo, credo importante indicare alle nuove generazioni il valore del nostro patrimonio culturale. Il magistero di Verdi è ricco e urgente e in tal senso trovo che quest’opera abbia ancora molto da dire. Con questo spirito mi sono avvicinato al progetto. La tragedia shakespeariana riletta da Boito indaga la totale gratuità del male: la guerra spietata che Iago ingaggia contro Otello e Desdemona non ha reali motivazioni, tant’è che di una di queste presunte ragioni Iago dice in sostanza "non so se sia vero, ma mi piace comportarmi come se fosse così". La grande modernità di questa tragedia è che la realtà immaginata è più significativa di quella reale, più vera del vero. E’ indiscutibile che per gli uomini e le donne del Ventesimo secolo l’inconscio e lo spazio interiore hanno assunto un’importanza senza precedenti".

Come ha affrontato in regia questo spazio della coscienza?

"Ho voluto restituire in palcoscenico un mondo in cui la realtà immaginata è più vera di quella sensibile. L’Otello è un’opera popolata di mostri. Già il leone alato della Serenissima è una creatura mostruosa, per quanto eroica e fiera. Poi c’è l’Idra, fosca e livida, personificazione della gelosia, il mostro cui Iago dedica un’intera pagina del proprio canto. Volevo popolare il palcoscenico di mostri, emblema del malessere degli uomini quando non sono appagati o non si sentono capiti. Le stelle del cielo, le costellazioni dello zodiaco sono uno zoo, un campionario fantastico di mostri che molto ha a che fare con quest’opera anche perché tutti i personaggi dell’Otello in qualche modo guardano al cielo: o perché sono marinai a partire dal Moro, o perché rivolgono a Dio le loro preghiere come il coro dei ciprioti, o perché invocano, vedi Iago, l’influsso di demoni oscuri. La scena quindi è inscatolata in una grande volta celeste che è l’ingigantimento delle mappe stellari usate da un capitano come Otello e i personaggi si muovono in uno spazio universale e astratto".

Nella sua regia più tradizione o più innovazione?

"Il concetto di innovazione e tradizione di cui ultimamente si fa tanto sfoggio non ha molto senso per chi fa ricerca. Io cerco di entrare nel testo musicale e librettistico di un’opera, studio le fonti biografiche, critiche, provo a capire le motivazioni, le urgenze degli autori, il perché artisti di tanto tempo fa vollero raccontare una determinata storia con una nuova musica al pubblico del loro tempo. Capito questo, cosa succede? Il pubblico per il quale l’opera era stata scritta non c’è più, ce n’è uno nuovo. Le istanze, i desideri di Boito, di Verdi nello scrivere l’Otello, come si incontrano con i bisogni del pubblico che oggi va a teatro, al di là del piacere di ascoltare della bella musica o del vedere un bello spettacolo? Io sento imprescindibile l’urgenza di tradurre il linguaggio teatrale e le intenzioni spirituali ed estetiche di quegli artisti oggi. Ne consegue che il mio spettacolo è tra il passato e il presente, né vecchio né nuovo. E’ un dialogo tra genitori e figli.

Nel suo curriculum artistico manca Bergamo. Il suo rapporto con la città?

"Io sono di Sedrina in Val Brembana, sono molto legato a Bergamo, ce l’ho nel cuore, ma il nostro mestiere è un po’ zingaro. A Bergamo sono venuto in tournée per un paio di produzioni del Circuito Regionale Lombardo, ma non ho mai lavorato a Bergamo. Proprio perché ho vissuto a lungo lontano ho imparato ad apprezzare questo nostro carattere schivo, che mi ha aiutato molto a sapermi chiudere in me stesso per meditare sulle cose e avere un occhio lucido su di esse.

Fin da quand’ero bambino grazie a mio padre e a mio zio, l’architetto Alberto Fumagalli che purtroppo quest’anno è scomparso, ho vissuto in un ambiente stimolante, sono stato avviato alla bellezza, al teatro, alla musica. Ermanno Olmi frequentava casa nostra, al Liceo Sarpi ho avuto un corpo docente d’eccezione, da Marco Manzoni a Pacati a Bonincontri le cui lezioni mi sono servite di rendita per tutti gli esami di Storia dell’Arte.

Tutto ciò ha stimolato in me un senso di riconoscenza verso i maestri e come dire un desiderio di sdebitarsi cercando di passare quello che si ha agli altri. Lavorare a Bergamo mi piacerebbe e con Francesco Bellotto c’è un ottimo rapporto. Si è parlato spesso di possibili collaborazioni nonostante i tempi difficili e credo che Bellotto sia molto attento a capire quale può essere un progetto con cui farmi venire a Bergamo".

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