Uno striscione eloquente: “1.305.639 firme raccolte”. Unione popolare ha annunciato il traguardo raggiunto con la raccolta firme per la campagna referendaria organizzata con l’obbiettivo di tagliare gli stipendi d’oro dei parlamentari. Un vero successo, basti pensare che per convocare la consultazione popolare ne basterebbero meno della metà. Al centro dell’iniziativa c’è la legge 1261 del 1965, che determina l’indennità spettante ai membri del Parlamento. Se il referendum fosse approvato, deputati e senatori dovrebbero rinunciare alla “diaria”. I circa 3.500 euro mensili che ognuno riceve per sostenere le spese di soggiorno a Roma. La promotrice dell’iniziativa referendaria si è appellata al premier Monti e ai Presidenti di Camera e Senato Fini e Schifani esortandoli a intervenire “affinché la volontà popolare sia rispettata e si proceda quindi all’immediata abolizione della diaria del parlamentari”. La speranza è di non dover andare alla consultazione dei cittadini: “I referendum sappiamo che hanno un costo”, ha aggiunto Di Prato, “mi auguro che chi comanda capisca che i sacrifici son di tutti e che procedano a diminuirsi lo stipendio. Se segnali in questa direzione non ci saranno, noi continueremo anche dopo la pausa estiva a raccogliere le firme per tenere accesa la fiaccola del cambiamento”L a conferenza stampa alla Camera serve anche per chiarire alcune questioni nate negli ultimi giorni. La prima è relativa ai rimborsi elettorali. “Vorrei specificare già da ora che Unione Popolare rinuncia ai rimborsi – spiega Di Prato – La legge dice che saranno corrisposti solo in caso di effettiva celebrazione dei referendum e solo se il quorum sarà raggiunto. Ma fin da subito assicuriamo tutti che rispediremo al mittente ogni rimborso”.
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