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L'editoriale

Dalla rabbia all’orgoglio Maroni ci riesce: durerà? fotogallery video

Invece Bossi sembra ancor più appannato: chiede scusa sì per aver portato i figli nel movimento, ma poi si attacca al complotto, accusa il mondo "di aver inventato un cerchio magico che non esiste".

La rabbia e l’orgoglio. Sono presenti entrambi alla fiera di Bergamo tra il popolo lumbard che resiste. Sono presenti entrambi sul palco dove i due leader, uno al tramonto (e si vede), uno quasi in vetta, li somministrano in dosi massicce, prima una, la rabbia, e poi l’altro, l’orgoglio, nella speranza di tenere unita e ancora agguerrita la “base” delusa e umiliata.

Prima la rabbia dunque: che si scatena a più riprese, quasi tutta concentrata contro lei, la cattivissima, colpevole di tutte le nefandezze. “Chi non salta Rosi Mauro è” cantano i leghisti brandendo scope, cartelli, striscioni. E chiedono a gran voce la sua espulsione. Il capro espiatorio, che non vuol nemmeno dimettersi. Al contrario del figlio del senatùr, pure contestato ma… "Renzo è una vittima” spiega il consigliere regionale Giosuè Frosio. E ha un bel dire Bobo Maroni che “non vogliamo la caccia alle streghe”: il popolo ha deciso, la Rosi è la fonte di tutti i mali.

La rabbia, dunque, forte: “Chi ha sbagliato VIA”, urla il presidente della Provincia Ettore Pirovano, accolto da un grido liberatorio. Lo rilanciano in platea i sindaci o candidati sindaci dei paesi bergamaschi, da Gianfranco Masper ad Alberto Piccioli Cappelli, come un mantra a scacciare fantasmi di disgregazione, di crollo, di fine corsa.

E ancora, la rabbia del “capo” Bossi, chiamato ma non più osannato, anzi perfino fischiato. La rabbia contro la stampa prezzolata pronta a raccontare, a esagerare, ad accamparsi davanti a casa sua “per scrivere perfino che mia moglie fa le messe nere”.

E la rabbia contro il complotto. Eccola la parola chiave, fino a un momento prima negata da quasi tutti i seguaci di Bossi. Ma lui no, chiede scusa commosso per aver portato nel movimento i figli (“invece dovevo mandarli all’estero a studiare come ha fatto Berlusconi”), ma insieme accusa il mondo, dai servizi segreti ai giornalisti, di essersi “inventati un cerchio magico che non esiste per azzerare l’unico partito che fa opposizione al governo Monti”.

Ed è qui che si intuisce che è davvero un leader appannato: non riesce infatti questo confuso tentativo di aizzare la sua gente contro un nemico indefinito per tornare a unificarla e riempirla d’orgoglio.

Siamo all’orgoglio già, quello che Roberto Maroni solletica dopo aver urlato la necessità di far pulizia, dopo aver elencato le quattro regole d’oro della rinnovata Lega, dopo aver chiesto di “smetterla di parlare di complotti, di fatwe, di scomuniche e di cerchi”.

L’orgoglio se lo riprende lui,  Bobo, rimettendo insieme le migliaia di convenuti che al suo apparire si sono divisi, metà a gridare “MARONI” e l’altra metà “BOSSI”. Come fa? Semplicemente chiamando per nome il movimento, e scandendolo bene questo nome: “Lega Nord per l’indipendenza della Padania”. E se un folto gruppo si mette a saltare e a invocare la secessione, Maroni sorride e insiste: “La Padania è sotto assedio, oggi più che mai. Dobbiamo salvarla”.

E il popolo ci sta. Lui sarà il salvatore. Se la Lega si salverà.

Rosella del Castello

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