• Abbonati
Bergamo

Unit?? d’Italia, quando Montanelli rispose a Saffioti

In occasione dei festeggiamenti per il 150esimo anniversario dell'Unit?? d'Italia vi proponiamo una "stanza" risalente al 1998 in cui Indro Montanelli risponde a Carlo Saffioti sul tema del Risorgimento.

In occasione dei festeggiamenti per il 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia vi proponiamo un documento che ormai si può definire storico. Si tratta di una "stanza" di Indro Montanelli (la rubrica con cui il celebre giornalista rispondeva ai lettori sul Corriere della Sera) risalente al 1998.
In questo caso il lettore era Carlo Saffioti, oggi coordinatore provinciale del Pdl, e l’argomento il Risorgimento.

Caro Montanelli,

Sul Corriere del 1o dicembre erano riportate le tesi di quattro scrittori (Lorenzo Del Boca, Angela Pelliciari, Diego Novelli e Annibale Palascia) autori di libri accomunati "dall’ obiettivo di parlar male dei Savoia e dei Padri della Patria". Per essi l’ Unita’ d’Italia è stata una Tangentopoli, l’impresa dei Mille una sceneggiata tra Garibaldi e lo Stato Maggiore borbonico, Cavour un bugiardo. Che senso ha tutto questo? Perché cercare di demolire una delle pagine più belle della nostra storia, che tra l’altro propose all’Europa un modello di unificazione nazionale avvenuta senza mai rinunciare ai principi liberali affermati nello Statuto. Nella "stanza" lei scrive, a proposito di Petain, che "la Storia non si tocca. Da sempre essa è fatta di sangue, di morte, di crudeltà , di infamie, ma noi ne siamo i figli. E’ nostra madre". Avrei piacere che lei ricordasse questa considerazione a quegli scrittori così dissacratori del nostro Risorgimento.
Carlo Saffioti, Bergamo

Caro Saffioti,
Non ho letto i testi a cui lei accenna. Per due motivi. Prima di tutto perché del Risorgimento ho la presunzione di sapere tutto ciò che vale la pena di essere saputo, e di averlo anche raccontato. Secondo, perché quando il cosiddetto "revisionismo" sconfina nella denigrazione e nel disfattismo, mi fa abbastanza schifo. Del Risorgimento, io credo di potermi considerare un revisionista avanti lettera perché cominciai a praticarlo quando il vocabolo non era stato ancora inventato, e toccare certi miti faceva scandalo e creava inimicizie (a me costò, per un certo tempo, anche quella del mio fraterno amico e collega Spadolini, con cui poi feci pace). Mi pare d’essere stato uno dei primi a dire – almeno in linguaggio chiaro e tondo – che il Risorgimento fu fatto male, ma solo perché, mancandogli un consenso popolare, non si poteva farlo in altro modo che quello di Cavour e cioè, grazie ad abilissime combinazioni politiche e diplomatiche, più con gli stranieri (esercito francese e flotta inglese) che con gl’italiani, perché questi ultimi non c’erano, o erano così pochi che li conosciamo quasi tutti per nome.
Ho anche detto – e allora sembrava una bestemmia – che con ogni probabilità Cavour non pensava affatto a fare una Nazione italiana, ma un Regno Cisalpino (Piemonte, Lombardia e Veneto), e che a sconvolgere i suoi piani fu l iniziativa dei "Mille" di Garibaldi sul cui successo nessuno, e tanto meno Cavour, contava. Sì, questa revisione del Risorgimento che ne smonta il mito, era non solo giusta, ma anche necessaria a far capire agl’italiani con quali magagne l’Italia era nata, e quindi a smontarne quell’infatuazione nazionalistica che ci ha ispirato la più bolsa retorica patriottica e condotto ai peggiori errori, a cominciare dall’intervento nella prima guerra mondiale. Ma dire (se è vero che l’hanno detto gli autori da lei citati, e che io – ripeto – non ho letto) che il Risorgimento è stato tutto una Tangentopoli e l’impresa dei Mille il risultato di un mercato fra un avventuriero (che non ha mai avuto una lira in tasca) e una banda di traditori (di cui non si capisce quale convenienza avessero a tradire): questo non è revisionismo, ma calunnia e disfattismo al servizio d’ideologie e d’interessi antinazionali, dei quali la ringrazio d’ avermi offerto, con la sua lettera, l’occasione di dissociarmi nei termini più categorici. Di fronte a questi "storici" del Risorgimento, i suoi protagonisti diventano davvero incarnazioni dell’onestà , del coraggio e dell’ideale quali il mito li raffigurava, che avrebbero meritato dei pronipoti un po’ migliori di questi signori. Se l’ Italia è questa, era meglio lasciarla com’era. E viva Radetzki, che almeno era un gran soldato ed un galantuomo.
Indro Montanelli

Iscriviti al nostro canale Whatsapp e rimani aggiornato.
Vuoi leggere BergamoNews senza pubblicità?   Abbonati!
Più informazioni
commenta

NEWSLETTER

Notizie e approfondimenti quotidiani sulla tua città.

ISCRIVITI