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L'intervista

“Veronelli aveva ragione: Bergamo ?? tra le capitali dell’enogastronomia italiana” fotogallery

Dopo le "stelle" Francesco Arrigoni, uno dei maggiori esperti di enogastronomia, ricorda la profezia di Veronelli sui ristoranti orobici e ne evidenzia pregi e difetti.

Una pioggia di stelle: la terza per "Da Vittorio" (Brusaporto), la prima "Al Vigneto" (Grumello) e al "Roof Garden" (Bergamo)… tre belle notizie in un colpo solo per la ristorazione bergamasca entrata davvero a pieno titolo nelle pagine della mitica guida rossa Michelin, la più "difficile" da conquistare. Luigi Veronelli, antesignano diffusore del patrimonio enogastronomico italiano, già anni orsono aveva profetizzato questa éscalation della realtà orobica nel panorama della ristorazione nazionale. Lo ricorda Francesco Arrigoni che di Veronelli è stato "allievo" e che oggi è uno dei maggiori esperti di enogastronomia, critico del Corriere della Sera (sul Corriere.it ha un blog: webwinefood) e autore di libri in tema.
Ma è proprio vero che Bergamo può considerarsi capitale della ristorazione?
Di certo è una delle capitali italiane.
Se lo dice la Michelin allora è assodato?
Non lo dice solo la "Rossa", lo confermano altre prestigiose guide, dal Gambero Rosso all’Espresso. Anzi, per queste sono ancor più dei nove segnalati dalla Michelin i ristoranti degni di stelle o forchette.
E hanno ragione? A suo parere altre realtà meritano stelle?
Sì. E’ risaputo che la guida Michelin è di manica stretta. Io una stella la darei di certo a "Lio Pellegrini" e alla "Taverna del Colleoni" per citare la città o al "Posta" di Sant’Omobono. Ma una stella l’avevano la "Trattoria del Tone" e "La Caprese" appena fuori Bergamo e se l’erano meritata.
Invece c’è qualche ristorante stellato che non merita?
No, nessuno.
Quali sono i punti di forza della gastronomia bergamasca?
La varietà delle proposte, la bellezza dei locali, la professionalità, il servizio e anche le cantine direi. La fortuna è che la tradizione gastronomica e anche delle materie prime orobiche è piuttosto povera e questo ha aguzzato l’ingegno e la fantasia di chef e ristoratori, alla lunga premiando questi sforzi creativi.
E quali sono i punti deboli?
I prezzi, a volte davvero troppo salati e non sempre giustificati. Soprattutto da chi non è proprio all’altezza e vuole emulare le grandi realtà. Ma c’è anche una scarsa attenzione al pubblico internazionale, nonostae lo scalo di Orio: i camerieri dovrebbero sapere almeno un centinaio di frasi in inglese per un minimo di dialogo col cliente, i menu dovrebbero essere scritti in almeno due lingue.
A suo parere la crisi si sta facendo sentire nel mondo della ristorazione bergamasca?
Sì. Una stasi e a volte un calo dei prezzi ci sono già stati per mantenere i clienti ora che le possibilità economiche non sono più così elevate e generalizzate. E devo dire che è possibile fare ottima ristorazione a prezzi ragionevoli: non è necessario sempre e comunque puntare su materie prime costosissime.
C’è anche un ritorno alla cena in casa di amici: sempre colpa della crisi?
Forse no. Si registra piuttosto una certa stanchezza all’approccio, alla leziosità del ristorante, si cerca la semplicità, l’essenza. Forse questo è un suggerimento che i ristoratori dovrebbero cogliere. E anche riguardo al bere…
Al bere?
Sì, a cena tra amici si stappano bottiglie importanti che consumate al ristorante avrebbero prezzi proibitivi.
Date le premesse, come vede il futuro della ristorazione bergamasca?
Positivo. Anche se bisogna puntare di più su un ricambio generazionale. Anche perché ci sono chef che hanno decenni di attività, magari ottima, alle spalle, ma che han perso la voglia di innovare e perciò è giusto che allevino e diano spazio alle nuove generazioni.
 

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